Bloodshed (Cap. 8)

CAPITOLO 8

 

Sei così morto che non so perché ti sia dato la briga di nascere.

Jackie Estacado – Darkness

 

Gli hanno fatto del male e come dichiararono i dottori che cercarono di curarlo era ossessionato dalla vendetta. È tutto nei suoi album.

Furono oggetto di analisi, ma il rigore scientifico non può spiegare la pulsione artistica che solo un simile capisce.

Non mi sostituirò certo a quegli esperti, ma per raccontarvi di me, devo dirvi cosa ho scoperto di lui.

Le sue ultime tavole sono piene di tratti indefiniti come se qualcosa lo distraesse e il resoconto dettagliato della storia avesse interferenze. Non credo fosse il rimorso, piuttosto il caos di emozioni difficili da gestire. Forse la pazzia ha avuto il sopravvento alla fine, magari la razionalità. Chi può dirlo? Le conclusioni delle perizie rese pubbliche dopo la condanna non lo chiariscono. Sfogliando quei disegni a ritroso invece è possibile risalire alla sua vita.

Mentre scrivo, rivivo con lui gran parte di quei avvenimenti.

C’è da chiedersi come si comporterebbero le cosiddette persone normali con lo stesso peso.

Difficile descrivere la storia di un fumetto attraverso le immagini se non se ne dispone. Potrei riprodurle e molte di quelle che sono in questo libro sono frutto di ricordi.

Tutto il materiale originale è nelle mani della polizia.

Dovrete accontentarvi della mia parola e questo è quello che saprete.

 

La sua famiglia aveva una cattiva reputazione per colpa del padre. Non so se rubasse soldi o cose per ricavarne. Non so come lo facesse e con chi lo facesse, ma quando tornava a casa dopo giorni d’assenza ne aveva le tasche piene. Con quelli gli comprava regali.

Le tavole che rappresentano questo scorcio della sua esistenza sono chiarissime e le ho riprodotte con fedeltà perché avevano anche brevi ma significative didascalie.

Da bambino Bloodshed poteva avere quello che voleva ogni volta che lo chiedeva. Forse suo padre, a modo suo, gli voleva bene.

La madre era una cameriera e lavorava in un locale vicino casa. Rincasava tardi, gli dava la buonanotte si ritirava in camera da sola.

La mattina, mentre lo preparava per la scuola, ascoltava i suoi racconti del giorno prima sorridendo. Era una bella donna.

I disegni su questo periodo sono ricchi di sfumature. Ù

Non colori, perché erano tutti in bianco e nero, ma la ricerca del particolare non sfugge.

Si fa davvero fatica a non credere che sia stato felice nonostante tutto.

La scuola si trovava in un Oratorio dove passava gran parte della giornata rincasando un po’ prima di cena. C’era un prete che si occupava dei bambini in quelle ore pomeridiane e lo si vede soprattutto giocare con loro.

La tavola che descrive il suo volto era ricca di dettagli che non riuscirò mai a riprodurre in questo libro. Il disegno venne fatto al liceo dove ci incontrammo e descriveva perfettamente un uomo frequentato almeno dieci anni prima.

La parte successiva del racconto s’intreccia soprattutto con le poche parole che mi confidò quando cominciò a fidarsi di me ed è composta da tavole con pochi dettagli.

Il prete chiede a uno dei bambini maschi dell’Oratorio se lo vuole aiutare in un lavoro all’interno e lo ricompensa a mansione ultimata con un fumetto. Il volto del bambino mostra evidenti cambiamenti nell’ultima parte passando da un espressione allegra a triste.

In questo punto la storia fa un salto temporale e ci porta al periodo delle scuole medie quando, sempre nello stesso Oratorio, lo stesso prete il cui volto disegnato non cambia, chiese a Bloodshed di aiutarlo a spostare alcune cose da una camera ad un’altra.

Ho impresse le parole che mi disse su quel giorno:

“Avevo dimenticato. Era la prima volta che mi chiedeva di aiutarlo. Non lo faceva sempre. Giravano storie su di lui, ma le avevo dimenticate. Forse aveva i suoi periodi. Avevo dimenticato. Mi disse di non dirlo a nessuno. Mi disse che era il nostro segreto”.

La tavola che rappresenta questo momento è vuota. Nera.

 

La madre di Bloodshed voleva che andasse via dalla città e dalla loro vita, lontano dagli affari del padre. Lui tornava sempre più di rado e quando lo faceva litigavano. È in questo periodo che i due coniugi morirono in un incidente stradale.

Le ipotesi che a provocarlo fu proprio lui sono dettate da alcuni indizi che furono vagliati dalla polizia ma mai confermati. Su questo periodo le mie informazioni sono vaghe e si riferiscono ad alcuni articoli scritti allora. La conseguenza dell’incidente fu l’affido a una famiglia da cui si distaccò non appena maggiorenne.

La sua nuova casa era nei pressi dell’Oratorio e gli permise di frequentare il liceo dove ci incontrammo. Per andare al liceo passava tutti i giorni davanti all’Oratorio e guardando nel cortile rivide un giorno il prete rimproverare un bambino in lacrime.

La parte del fumetto che descrive il momento riprende il volto dell’uomo nuovamente senza variazioni.

“Lui non si accorse di me, ma il bambino sì, e nei suoi occhi lessi una disperata richiesta d’aiuto che mi strinse le budella. Sapevo perché stava piangendo”.

Ricordo perfettamente quando me lo raccontò.

Il fumetto prosegue con una sua denuncia alla polizia che resta però inascoltata e si chiude con i volti rassegnati di alcuni bambini.

 

Ci diplomammo e prendemmo le nostre strade. Prima di separarci mi consegnò i suoi album. Li ho sfogliati innumerevoli volte prima che la polizia li sequestrasse. Questo mi ha permesso di memorizzare tanti particolari e forse mi darà anche delle rogne legali sebbene il processo sia ormai chiuso e i fatti noti. Dovrei cavarmela con poco.

C’erano altri ragazzi come noi al liceo, figli dimenticati o sottratti alle proprie famiglie, maschi e femmine soli al mondo. Un umanità variegata e allo sbando di cui pochi si curavano.

Non a tutti è andata male.

Bloodshed tornò in città alcuni anni dopo e questo lo so grazie all’inchiesta. Immagino che sia difficile levarsi da dosso una macchia grande di sporco in una città che diventa piccola quando vivi nei suoi quartieri e con la stessa gente. Dopo anni a imparare mestieri e a guadagnare qualche soldo, molti di quelli che aveva conosciuto però si erano dimenticati di lui. Così chiese un prestito per aprire una piccola bottega e comprò un vecchio garage che ristrutturò. Dietro il locale rimediò lo spazio per una camera, un angolo cucina e un bagno.

Era diventato un ottimo falegname e non disegnava più.

 

In quel periodo la chiesa del quartiere aveva bisogno di nuove panche, perciò il prete lo mandò a chiamare e quando si incontrarono non venne riconosciuto. Le testimonianze raccolte fugano qualsiasi dubbio. Era il suo prete ed era diventato pastore d’anime.

Bloodshed accettò. Secondo gli inquirenti lo fece pianificando il suo intento omicida. Fu allora che iniziarono le voci.

Questa parte è trapelata alla stampa più aggressiva del periodo e forse vi è nota. Dichiarò che sentiva voci nella sua testa che parlavano di dolore e sofferenza chiedendo vendetta. Questo è stato sufficiente a garantirgli una sorta di giustificazione perché gli hanno creduto.

La parte che segue è la trascrizione integrale di una registrazione avvenuta nella sua cella prima del processo.

Mi fu chiesto di parlargli perché ero il solo a cui aveva rivolto la parola. La fonte di questa informazione resterà anonima.

Siete liberi di accettarla per vera o falsa.

 

“Il lavoro mi permetteva di tenere a bada la follia, ma ogni chiodo fissato a una tavola mi ricordava la mia crocifissione.

Aveva ucciso mia madre, capisci? Era colpa di quel prete!

Lo vedevo tutti i giorni ma lui continuava a non si ricordarsi di me.

O fingeva.

Le voci mi tormentavano tutte le notti, ogni chiodo una fitta, ogni asse spezzata una tortura. Le persone cambiano, mi ripetevo, le persone possono cambiare.

In città mi parlavano spesso del prete, pettegolezzi mi ripetevano, eppure quando ero tra loro mi guardavano con scherno.

Solo quando un ubriaco mi definì la ragazza del prete capì cosa intendessero veramente: lo sapevano. Lo sapevano tutti!

Eppure nessuno agiva, nessuno, nemmeno quando il figlio di una cameriera e di un ladro aveva avuto il coraggio di denunciarlo tempo prima. Non gli avevano creduto.

Quel ragazzino aveva generato solo malcontento e rabbia che aveva portato alla morte di sua madre. Le voci me lo ripetono in continuazione ancora adesso, sai? Io ho ucciso mia madre.

Gli consegnai le prime dieci panche il Giovedì Santo di una Pasqua che non dimenticherò.

C’era la cerimonia della lavanda dei piedi, c’erano undici bambini.

Uno di loro era lo stesso che avevo visto un giorno in cortile e come allora i suoi occhi vuoti e vitrei m’imploravano: perché non mi hai aiutato? Perché hai permesso che accadesse ancora?”.

 

Sappiamo dalla cronaca cosa è successo dopo. Non mi disse altro.

Uno degli specialisti che scrisse la perizia psichiatrica per il processo dichiarò che in questa fase Bloodshed aveva cominciato a dissociare le sue personalità. Non so perché continuo a usare il nick, io conosco il suo vero nome. Forse per me sarà sempre Bloodshed e nient’altro.

Qualsiasi cosa gli è accaduta non può essere giustificato dalla follia.

Io conosco le sue voci. Sono reali, qualcosa che pochi comprendono.

Le voci raccontano storie antiche, storie di miti passati e dimenticati e in quelli anche io mi cullo nell’eterno sonno da cui non so svegliarmi.

L’odio e la rabbia per il dolore inflitti da uomini e donne che mi hanno denigrato è più grande di qualsiasi cosa sopportabile.

Ma ci sono diversi modi per incanalare questa energia.

Diversi modi di agire.

Sublimare.

Un tocco, due tocchi, ora tocca a te.

Non sono buoni ricordi.

Un tocco, due tocchi, ora tocca a te.

E le voci scavano e ricordano ciò che è stato.

Un tocco, due tocchi, ora tocca a te.

Le parole del Diavolo, le parole della sofferenza.

Un tocco, due tocchi, ora tocca a te.

Perché non mi hanno creduto?

Anche io ho ucciso mia madre. È morta quando sono diventato adulto e non sono più tornato a casa. La vecchia casa.

Ricordo le bastonate, ricordo il dolore, i lividi e le ossa rotte.

Della mia anima.

Le risa dei compagni di scuola per i quali ero un fenomeno da baraccone, la mia dignità infranta, il mio lavoro denigrato da ignoranti privi di immaginazione e arte. Gli indici puntati. Il disprezzo.

Poi la fame, il freddo e il buio della solitudine.

Tutto dentro di me.

Rammento quel passato di nessun ricordo buono. Anche a me è stato detto di tenere un segreto. Di non dirlo a nessuno. Di tenere dentro la differenza, la diversità per adeguarsi al senso comune, fare insomma quello che altri si aspettano da te e non essere unico.

Questo il mio segreto.

Il piacere di ucciderlo e farlo a pezzi sarà poco al confronto delle urla che inebrieranno le mie orecchie. Mi piacerà farlo. Non sarà come nei sogni, la realtà è migliore. Saranno le sue urla, le urla del mio segreto come quelle del prete cattivo. Mi piacerà farlo.

Capite quello che sto scrivendo?

 

Raffaele Scotti

 

 

 

 

 

 

 

 

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