CAPITOLO 3
Perché che io sia DANNATO se lascerò che qualcuno mi strappi il cuore…
…senza pagarla!
Al Simmons – Spawn
Fissando le cose sparpagliate nell’appartamento di Carlo, Diego riesce a capirne il senso: è come un grande fumetto in cui tutti i personaggi trovano posto solo se si considera la storia nell’interezza. La roba non lo intralcia perché è disposta in punti precisi. Sebbene la sensazione di disordine era stata immediata, dall’interno, deve riconsiderare addirittura che ci possa essere un fine bizzarro.
Approfittando di una sortita in bagno di Carlo, sbircia oltre la seconda porta chiusa non stupendosi nemmeno quella volta notando la camera da letto in ordine. Il suo cliente, il suo amico, vive in due realtà: c’è il mondo cardine, quello dei fumetti e del caos in ogni angolo della casa e ci sono i satelliti separati, i piccoli spazi nascosti del bagno e della camera da letto dove razionalità e normalità fanno pace.
“Che c’è di divertente?”.
Carlo, uscito dal bagno, lo vede sorridere all’uscio della sua camera.
“Scusami, ero curioso, perdonami” risponde Diego.
“Curioso di che?”.
“Volevo vedere com’era la camera da letto di un artista”.
“E com’è?”.
“Essenziale”.
Carlo sorride e si siede sul divano ad ascoltare musica classica. A chi gli chiede da dove venga quel particolare interesse non sa rispondere. Una volta, scherzando, aveva detto a un giornalista che probabilmente sua madre lo aveva concepito con quel tipo di sottofondo mentre era in macchina con l’uomo che l’aveva poi mollata.
Finché era stata viva, la donna non gliela aveva mai perdonata. Suo padre invece l’aveva presa molto meglio.
Diego si accomoda sulla stessa sedia da cui lo aveva guardato lavorare. Fissa le tavole, un fumetto finito senza dialoghi ed è rapito dalla storia che comprende in poche occhiate. Non gli servono le parole nelle nuvolette che escono dalle bocche dei personaggi per capirla perché è come guardare un film muto. Le immagini parlano da sole.
“Mi sembra di capire che l’idea di questo libro trova il tuo consenso. Da quando Norton è morto tutta l’attenzione di chi s’interessa di fumetti si è riversata su di me” dice Carlo, “È lusinghiero, lo ammetto, ma ho la necessità di farmi conoscere meglio. Diversamente”.
“Te lo volevo chiedere prima” fa Diego indicandogli il collo, “Non lo indossi sempre? Ci vediamo spesso, ma l’ho visto poche volte”.
“L’ho perso. Questa è una copia” risponde Carlo.
“Ah” commenta Diego.
“Vedi” aggiunge Carlo, “Non gli ho tenuto la mano sul letto di morte, né gli ho promesso di continuare il suo lavoro. Ma gli devo molto”.
“Certo” replica Diego avvicinandosi, “È il tuo lavoro e lo fai anche bene. Il libro è una buona idea per approfittare del clamore intorno alla tua persona. Il processo ha lasciato molti strascichi e devi difenderti ancora. I detrattori e i fan leggeranno le tue idee, le tue ispirazioni. Vedranno l’arte nascere e svilupparsi. I disegni non saranno semplici figure contorte che raccontano storie forti per adulti”.
“Mmm…” fa Carlo annuendo, “Quello che dici mi incoraggia”.
“Ottimo è così che devi parlare. Hai già un’idea? Vuoi che contatti qualcuno che possa aiutarti a pianificare il tutto?”.
“No, è una cosa che devo fare io”.
“Va bene, ma conosco un po’ di persone del giro, quindi se ne hai bisogno non farti problemi”.
“Lo so. Ho comunque già un’idea di sviluppo”.
“Fammi sentire”.
“Non sogno mai” comincia Carlo, “O come dicono non ricordo quello che ho sognato, ma conservo immagini sbiadite di quei momenti”.
Diego fa un leggero cenno della testa assentendo.
“Adesso sarebbe facile dire che è una conseguenza del mio stato d’animo inquieto” aggiunge il fumettista, “Insomma, è sera e sono a una festa, non so dove e non conosco nessuno. La sensazione è quella e per questo mi sento isolato. Dal nulla si avvicina una donna molto bella che mi chiede di ballare. Io rifiuto, quindi lei m’invita a bere tra le mie proteste. Lei dice di non preoccuparmi e mi accarezza un braccio. Al risveglio ricorderò quella sensazione in un modo così vivido che mi è sembrata vera. Comunque, mentre continuiamo a parlare non so di cosa, si avvicina un tizio e le chiede di ballare, ma lei lo ignora. Dopo il rifiuto della donna il tizio mi guarda spaventato e vuoi sentire una cosa buffa? Ti somigliava”.
“Continua”.
“Vedo che non ti turba. Va bene. Il tipo, tu, volevi che mi allontanassi dalla donna. Lei se ne accorge e voltandosi gli dice qualcosa che lo manda via. Dopo, io e la donna ci rimettiamo a parlare come se nulla fosse accaduto, quindi mi prende per mano – ancora la sensazione è così reale – e mi porta lontano dalla festa lungo un corridoio”.
Carlo si ferma e aspetta una reazione da parte di Diego.
“Non ricordi altro?” chiede l’amico.
“Sì, c’è dell’altro, ma sembra che tu non mi abbia ascoltato”.
“L’ho fatto. Finisci il tuo racconto”.
“C’è poco. Da questo corridoio arriviamo in una stanza dove ci sono altre persone che al nostro ingresso sembrano infastidite. Ne ho chiara la sensazione. La mia compagna, incurante di tutto questo, mi fa sedere su un divano e comincia a baciarmi. Questo è un altro degli aspetti più assurdi del sogno, perché io di quel bacio non ho nessuna sensazione fisica così come era stata delle sue mani.
Quando la donna mi bacia, i presenti escono indignati dalla stanza e risvegliandomi, provo un senso di rabbia”.
Diego si alza dal divano e comincia a girare per la stanza mentre Carlo lo segue incuriosito dal divano. Passando davanti al frigo, prima lo apre distrattamente, poi guarda Carlo come per chiedergli il permesso di farlo. Questi fa un sì con la testa e vede l’altro tuffarsi dentro e prendere due birre.
“Per me no” fa Carlo.
Diego stappa la birra e comincia a sorseggiarla piano fino a che non la finisce, dopo, ripone la bottiglia nell’apposito contenitore per il vetro sotto il lavandino della cucina.
“Pure la differenziata” borbotta con un sorriso.
“Allora?” chiede impaziente Carlo, “La tua interpretazione?”.
“Mah, più che interpretarlo mi chiedo come usarlo per il tuo libro. Vuoi scrivere un fantasy o la tua storia?”.
“Userei metafore. La donna è la mia ispirazione, la dea che traccia il mio cammino artistico tra gli uomini. C’è tensione tra noi, ma siamo attratti l’un dall’altra. Le persone attorno non ci gradiscono e gli amici tentano di farmi ragionare”.
“Perché la festa non piace a tutti” finisce Diego con un sorriso.
Carlo si alza per cambiare disco e poi si siede di nuovo.
“Quando mi licenziarono mi sentì sollevato. Il mio vecchio editore mal sopportava nell’ultimo periodo tutte le voci sul mio conto. I fumetti si vendevano, ma le polemiche erano troppe. Da settimane vagliavo l’idea di andarmene, eppure volevo che fosse lui a cacciarmi. Non volevo essere quello che se ne andava, ma che veniva cacciato”.
“L’hai vinta quella battaglia” dice Diego, “La festa, parafrasando il tuo sogno, è continuata e molta gente è rimasta”.
“Vero. Non ho mai pensato di immolarmi come vittima. Volevo sapere fino a che punto sarei stato tollerato. Adesso lo so. Chiusa la porta, si è aperto il portone”.
Diego annuisce con un sorriso.
“Voglio una mia casa di distribuzione”.
“Ah!” esclama l’amico, “Dunque è questo che bolle in pentola!”.
“Sì e mi dovrai aiutare anche più di quanto hai fatto in questi ultimi mesi. Voglio riassaporare tutto come la prima volta quando ho cominciato e voglio che sia mio. Il libro è solo l’inizio. Lo sai che le case editrici obbligano gli autori a lasciare loro i diritti esclusi sulle opere realizzate. Questo dà ai personaggi una continuità che si perderebbe con la morte di un disegnatore o la sua semplice inattività. Ottimo per le vendite, ma la creatività? Io voglio decidere da solo sulle mie storie e chiunque vorrà lavorare con me godrà degli stessi diritti”.
“Progetto ambizioso, ma mi piace” commenta Diego.
Carlo sorride.
“Il sogno che hai raccontato pensi di trasportarlo in fumetto?”.
“Mi sembra debole come storia e poco inerente al genere che tratto. Questo è un sogno ricorrente che mi intriga per altri versi. Ogni notte c’è un pezzo in più dello stesso sogno. Cose del genere avvengono anche nei fumetti, ma in quelli che disegno qualcuno deve morire”.
Diego non reagisce alla battuta e sembra guardarlo ora con più curiosità, Carlo se n’accorge e sta per chiedergli il perché quando l’amico lo anticipa.
“Dimenticavo” afferma serio, “Se non c’è sangue, non c’è Cerbero”.
“Esatto”.
“Spiegami questa cosa del sognare un pezzo dello stesso sogno”.
“Assurdo vero? Ma è la verità. Sogno sempre la stessa festa e sempre la stessa donna, ma ogni notte la ritrovo dove l’avevo lasciata. Come accade nei sogni, tutto è confuso. Mentre realizzo queste cose ci ritroviamo in un letto in un’altra stanza con lei che stringe nella mano il mio ciondolo”.
“E se l’è preso”.
“Già” sussurra Carlo e lo fissa serio.
L’espressione dell’amico non gli dice che lo sta prendendo in giro, tuttavia, quel suo essere così attento al sogno che gli sta raccontando un po’ comincia a turbarlo.
“Quando mi sono svegliato ero sicuro di avere avuto una notte tra le sue braccia, anche se ero solo in camera. Non ero in compagnia di nessuno, ma le sensazioni rimaste sembravano così veritiere. E poi non avevo il mio ciondolo. Non l’ho trovato tra le lenzuola, nei miei abiti o altrove per casa”.
Diego annuisce pensieroso.
“Questo più di altro mi ha convinto sul libro. Una trasposizione metaforica perfetta. La mia musa che mi strappa il ciondolo per farmi camminare da solo, con il mio stile, con la mia arte che è lei, pienamente lei, non più derivata”.
“È surreale, ma convincente”.
“Funziona, vero? Io me lo sono sentito dall’inizio. Non ho mai avuto ispirazioni tanto forti”.
“Mi hai più rivisto?” chiede Diego all’improvviso.
“Nel mio sogno?”.
“Sì”.
“Ho detto che ti somigliava. Poteva essere anche tuo fratello” ribatte con scherno Carlo.
“Conosci mio fratello?”.
“Non ho detto che era tuo fratello”.
“Hai detto che mi somigliava, no?”.
“Appunto, non è lo stesso”.
“Ti ho mai raccontato di mio fratello?”.
“Mi prendi in giro?”.
“No”.
“Hai veramente un fratello?”.
“Sì”.
Raffaele Scotti