Bloodshed (Cap. 4)

CAPITOLO 4

 

– Sì o vaffanculo?

 – Già.

– Vaffanculo.

Frank Castle – The Punisher

 

Una settimana dopo l’incontro con Diego, Carlo riceve una visita da parte di un investigatore della Polizia di Stato. Nella periferia di Roma sono stati ritrovati i cadaveri di un paio di prostitute mutilate e l’uomo che si occupa del caso vuole sentirlo in merito alle modalità degli stessi. Ha trovato infatti singolari coincidenze con alcuni suoi fumetti. Lo aveva scoperto perché come tanti era stato incuriosito dal fenomeno Cerbero di cui stampa e tv avevano parlato e continuavano a fare.

Quei fumetti erano difficili da dimenticare.

L’albo incriminato s’intitolava Il ritorno di Jack e parlava del famoso squartatore di Londra che Cerbero immagina rivivere in un barbone della Milano moderna. La storia narra la vicenda di un chirurgo plastico che cade in disgrazia e perde il senno finendo poi tra le strade della cittadina lombarda con la sola cosa che gli fosse rimasta, la borsa dei suoi attrezzi, con i quali esegue mortali mutilazioni a danno di giovani e belle prostitute.

“Pare che qualcuno l’abbia preso alla lettera signor Rebo, o devo chiamarla Cerbero?” dice l’investigatore dopo i convenevoli.

Carlo lo fissa senza rispondere ancora preso dalla sua somiglianza con Diego. L’amico è lì presente e aveva tenuto a precisargli d’essere cauto nelle affermazioni e di lasciare parlare lui se le cose si fossero complicate. Sono in un bar poco distante dall’appartamento di Carlo e il locale è poco affollato per via del sempre più pungente freddo che attanaglia l’Italia da settimane. L’orologio fisso al muro sull’ingresso segna le cinque del pomeriggio e molti di quelli che avevano l’abitudine di passare prima di tornare a casa avevano lasciando il bar a pochi e inossidabili avventori.

“È inquietante la vostra somiglianza” afferma Carlo.

Sono simili, identici perfettamente, anche se l’espressione di Diego sembra molto più benevola rispetto a quella dura e fredda del fratello. Carlo pensa che la differenza sia nel lavoro che avevano scelto.

“Puoi chiamarlo Carlo, Teo, non è uno che si è montato la testa” dice Diego intromettendosi.

“Teo sta per?” chiede Carlo.

“Teodoro” risponde l’interessato.

“Non ho intenzione di prenderti in giro, tranquillo”.

“Lo so” ribatte serio l’altro.

“Tuo fratello non sapeva nulla dei miei fumetti e adesso è il mio avvocato di fiducia. Mi ha aiutato molto come saprai”.

Teo annuisce.

“Il fatto che sia un mio lettore è buffo, trovi?” chiede Carlo a Diego che alza le spalle.

“Ho a che fare con la morte tutti i giorni, credo che sia una specie di deformazione professionale” risponde Teo.

Carlo sorride ma è una risata forzata. Crede poco all’interesse artistico nei suoi confronti da parte di un investigatore della Polizia di Stato.

Il cameriere arriva e porge loro i caffè, poi si dilegua senza chiedere altro. I tre lo sorseggiano in silenzio mentre il grigio pomeriggio diventa una notte buia rischiarata dall’illuminazione stradale e dalle luci provenienti dalle abitazioni. I pochi avventori del bar lasciano presto il posto dirigendosi altrove. C’è una leggera musica in sottofondo diffusa per tutto il piccolo ambiente ed è piacevole.

“Cosa vuoi che ti dica?” chiede Carlo a Teo.

“Quello che sai” risponde l’altro.

“Non conoscevo quelle ragazze, tanto per cominciare”.

“Compreso il tizio ammazzato con il piccone?”.

“Come si chiamava?”.

Teo mette le mani in tasca e tira fuori delle foto.

La prima reazione di Carlo è di sorpresa. Gira lo sguardo d’istinto, poi cede alla curiosità e guarda.

“Cazzo, Teo” sibila Diego dando un’occhiata, “Era necessario?”.

Il fratello non fa una piega e scruta Carlo con curiosità.

“Da quello che si capisce, direi di no, non lo conosco” fa Carlo, “Me n’ero dimenticato di quella storia, è vero, ma quando disegni così tanti fumetti di questo genere alla fine perdi il conto di tutti quelli che ammazzi e fai a pezzi”.

“Il nostro uomo invece pare che se li ricorda tutti i tuoi morti ammazzati” replica Teo.

Si abbassa per poggiare sul tavolo una piccola valigetta da cui tira fuori alcuni fumetti. Sono il numero tre e quattro de Il Ritorno di Jack e hanno dei segnalibri su cui Teo apre per mostrare le pagine con i corpi di due prostitute uccise.

Il terzo è il numero uno di Blood Hammer.

“Dopo, se ti va, dovresti mettermi un autografo” dice Teo accennando per la prima volta un sorriso.

“Già. Vuoi sapere come l’ho pensato questo?” chiede Carlo indicando Blood Hammer.

“Se credi che possa servire”.

“Ero piccolo e osservavo alcuni operai che lavoravano di fronte casa mia su una strada. Facevano un casino da impazzire perché usavano un martello pneumatico per smuovere il manto stradale sotto il quale dovevano far passar qualche tubo.

L’operaio più anziano rimproverava in continuazione quello più giovane che manovrava il martello pneumatico e quest’ultimo sembrava ignorarlo volutamente. Non so cosa gli dicesse quello più anziano, perché era impossibile udirli, ma era evidente che quello più giovane non gli desse retta finché, a un certo punto, quello più anziano gli leva il martello dalle mani che smette subito di funzionare”.

“Continua”.

“Tra i due nasce un piccolo battibecco, poi l’operaio anziano va verso il piccolo furgone parcheggiato poco distante e da dietro tira fuori un piccone. Sbraitando qualcosa al giovane operaio che lo manda a quel paese lo scosta e comincia a picconare furiosamente il manto stradale.

Non so quante volte quell’immagine mi si riproponeva nella testa nei giorni a seguire e quante altre volte ho pensato che l’anziano operaio uscisse così fuori dai gangheri da non sopportare più l’insolenza del giovane operaio e lo aggredisse. Quando poi sono diventato un fumettista professionista la mia creatività ha fatto il resto”.

“Però” commenta Teo sorridendo debolmente.

In quel momento i tre sono avvicinati dal cameriere che porta via le tazze vuote chiedendo se vogliono altro. Diego chiede il conto.

“La cosa inquietante in tutta questa faccenda” comincia Teo dopo che il cameriere si è allontanato, “Non è l’emulazione in sé dei tuoi disegni, quanto una meticolosa opera di riproduzione degli stessi. Noi crediamo per il momento che ci sia una sola persona dietro tutto questo, ma non è da escludere niente. Come hai visto, se si paragonano le foto scattate sulle scene dei crimini e i tuoi disegni, s’intuisce chiaramente che chi ha commesso quei misfatti si è prodigato non poco a realizzarne una copia perfetta. Insomma, il nostro uomo non solo si diverte ad ammazzare dei poveracci, ma li mette pure in posa per riprodurre fedelmente i fumetti”.

Il cameriere porta loro il conto e si allontana di nuovo.

“Come si fa a sapere se è un uomo solo o una banda a commettere questi omicidi?” chiede Diego al fratello.

“Modus operandi”.

“Molti credono che fare il lavoro che faccio mi renda immune da sensazioni di ribrezzo e perfino dalla pietà nei confronti della morte, ma non è così” afferma Carlo.

“Che mi dici di Norton?” gli chiede Teo.

“Che centra lui?” fa Diego.

“Si dice che Cerbero abbia preso il suo testimone”.

“Credo di capire” risponde Carlo, “Non so se Norton facesse veramente come Da Vinci e sezionasse cadaveri o cose di questo tipo. Io non ne sono capace. Il sangue vero mi fa star male. In ogni caso credo che il processo che mi ha visto come protagonista abbia fugato ogni mio coinvolgimento in azioni criminose come queste”.

Carlo poggia in modo deciso l’indice della mano destra su una delle foto ancora sull’tavolo.

“La tua paura mi è nota” fa Teo invitandolo a proseguire con un gesto della mano mentre ripone le fotografie e i fumetti, “Ma troverai curioso anche tu che per la seconda volta ti ritrovi in una situazione insolita, no? Fumetti e omicidi. Un’accoppiata singolare che non ha precedenti. Se si esclude te”.

“Non provo piacere nella sofferenza, né la morte, l’ho già detto.

Vedere quelle foto mi ha dato il voltastomaco. Se la polizia crede che abbia a che fare con quegli omicidi siete davvero messi male. Non posso essere responsabile delle azioni di un folle solo perché disegno”.

 

 

I tre trascorrono il resto del pomeriggio fino a sera inoltrata al Commissariato. La visita informale di Teo finisce nel momento in cui, uscendo dal bar, riceve dalla centrale la segnalazione di un altro omicidio. Quella volta la vittima era stata rinvenuta priva della testa.

L’invito a seguirlo al Commissariato per rispondere a nuove domande in presenza del suo avvocato diventa un obbligo per l’investigatore che ritiene Carlo a tutti gli effetti una persona molto informata dei fatti.

Le coincidenze sono troppe e le intuizioni di Teo non possono essere trascurate quando risulta evidente che il maniaco, o chi per lui, opera in emulazione del fumettista. Forse si poteva cambiare il corso di quell’indagine e forse Carlo Rebo era la soluzione, ma qualsiasi era la strada da intraprendere, Teodoro Rossi sa che passa per Carlo Rebo.

Nello stesso momento in cui Cerbero è ascoltato dal magistrato referente per le indagini, la polizia ha il permesso di visitare il suo appartamento in cerca d’informazioni utili. Le proteste di Diego sono molte perché secondo il suo punto di vista non ci sono i presupposti.

“In questo modo state violando i diritti del mio cliente!” sbraita senza essere ascoltato.

Le reticenze da parte di Carlo sono invece poche e alla polizia è dato il via libera senza ulteriori intoppi. Al Commissariato arrivano un paio di cartoni, per lo più pieni di disegni, che sono smistati a degli esperti.

Qualcuno vuole indagare anche sulla testa di Cerbero e questo suscita una nuova e fervente protesta del suo avvocato anch’essa caduta davanti all’esplicito consenso dell’assistito.

“Ma perché glielo permetti! Non possono farlo!” gli dice Diego, ma Carlo sembra più interessato alla soluzione rapida della faccenda piuttosto che alle sue complicazioni.

Non ci sono motivi per trattenerlo e verso le dieci di sera il fumettista fa ritorno a casa con l’avvocato accompagnato da una volante.

“Sei avventato” gli dice in tono d’accusa Diego quando sono a casa.

“Non hai aperto bocca durante il tragitto, pensavo non volessi più parlare con me” replica Carlo offrendogli una birra che l’amico rifiuta.

“Magari avevano dei microfoni in auto, se non ne hanno piazzati qui quando sono venuti a prendere la tua roba”.

Carlo sorride e si siede sul divano mettendo un cd nel lettore.

Dopo un po’ Diego gli fa compagnia.

“Mi hanno chiesto di tutto” fa Carlo, “Se avessi ricevuto minacce o estorsioni, se fossi oggetto di persecuzioni da parte di fan o se conoscessi persone particolarmente pericolose. Come se non mi fosse basta l’unica che mi ha cambiato la vita.

Avrei dovuto dire quello che pensavo veramente, avrei dovuto dire che ormai sono diventato un capro espiatorio perché faccio un lavoro che mi fa guadagnare tanto e a qualcuno non piace.

Non mi meraviglierebbe un complotto in perfetto stile hollywoodiano in cui qualcuno paga qualche altro per commettere quegli omicidi solo per rovinarmi”.

“È da paranoici” commenta burbero Diego.

“Sì, ma dopo il processo anche questo? Mi sento perseguitato e sono solo un fumettista, cazzo!”.

“Rilassati. Ne veniamo fuori. Ci penso io, vedrai”.

“DISEGNO FUMETTI!” urla Carlo alla casa e ride.

“Passerà poco prima che le tv e le radio ne parlino con fragore e tutta la pubblicità che ne deriverà andrà gestita al meglio” afferma Diego quando l’ilarità di entrambi è scemata.

“Sei già nel futuro”.

“Si divideranno, lo sai, tra chi ti accuserà di incitare il maniaco e chi parlerà della libertà d’espressione. Dobbiamo anticiparli”.

“Come?”.

“La tua storia, il libro. Quanto materiale hai pronto?”.

“Poco”.

“Fammelo leggere”.

Carlo si alza e va al tavolo da disegno levando un foglio da sotto una piccola risma spillata con una serie di puntine metalliche.

Porge il foglio a Diego e si risiede.

 

Raffaele Scotti

 

Aggiungi un Commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Commento *

Nome
Email