Bloodshed (Cap. 2)

CAPITOLO 2

 

  Solo perché avete una tv al plasma e un sacco di dvd non significa che siete liberi, cazzoni.

Siete solo schiavi ben pagati come tutte le altre pecore là fuori.

Wesly Gibson – Wanted

 

L’appartamento è nel caos, c’è roba messa a casaccio in ogni angolo e distinguere le pareti dal pavimento è arduo. Questo accade perché il gioco di luci e ombre crea contrasti chiaro scuri che danno all’insieme un unico aspetto. Sembra di stare in un mercato orientale in cui però non dominano merci colorate di stoffe pregiate, bensì cianfrusaglie e cose inutili. Tutte grigie.

Ci sono fogli bianchi stipati alla rinfusa in grossi scatoloni sparsi per la casa che è in realtà un grande salone su cui si affacciano due porte.

L’angolo cucina si distingue per i fornelli e la cappa lucida immacolati, ma chi aveva frequentato la casa sapeva che non era così. Un grosso tavolo con sedie è appoggiato a un muro, mentre sul lato opposto uno spazioso divano è posto davanti a un mobiletto su cui ci sono un televisore, lettore dvd e un impianto stereo.

Abitare all’ultimo piano di quel condominio è comodo e la natura schiva del proprietario lo tiene lontano da problemi di convivenza. Nessuno si era lamentato di feste improvvisate dallo stravagante e famoso inquilino del piano di sopra.

Al centro del salone c’è il tavolo da disegno su cui sono state fissate numerose tavole già finite per fumetti di prossima uscita. Alcune sembrano incomplete. Un portatile giace abbandonato in un angolo vicino a una delle due porte dell’appartamento.

“Quello che mi sbalordisce sempre ogni volta” dice Diego, “è che in questo casino non troverei un ricciolo di polvere pur sforzandomi”.

“La signora delle pulizie è una santa” ribadisce Carlo con un sorriso.

“Posso usare il bagno?”.

Carlo gli fa di sì con la testa poi, presa una matita da una scatola vicino al tavolo da disegno, comincia a correggere alcune tavole.

“E qui c’è la follia pura!” urla Diego dal bagno, “Un uomo che vive da solo con una tazza da fare invidia a Mastro Lindo!”.

Carlo sorride, ma la sua espressione è subito concentrata. Adesso ci sono solo i disegni. Uscendo dal bagno, Diego nota subito il silenzio in cui si è messo a lavorare. Si avvicina e appoggia il cappotto su una sedia libera. La temperatura nell’appartamento è gradevole e la mancanza di rumori in quel momento rende l’atmosfera suggestiva.

Carlo sta creando qualcosa di unico sul tavolo da disegno, dei banali fumetti direbbe qualcuno, ma seduto sullo sgabello, assorto nell’opera, sembra in posa egli stesso per un ritratto.

“È da un po’ che tutto procede bene” dice all’improvviso facendolo sobbalzare, “Finalmente bene direi, anche se non è come vorrei. È una questione di tempo. Solo di tempo”.

“Questo è uno di quelli che devi pubblicare?” chiede Diego.

“Sì. Le vendite dei fumetti che ho già pubblicato sono incrementate e francamente non me lo sarei aspettato dopo che mi sono messo in proprio. Godo ancora del diritto legale dei proventi come autore e questo mi dà un margine di sopravvivenza. Lavorare in collaborazione con altri disegnatori non vuol dire avere una propria autonomia, tuttavia, non essere vincolato a un editore mi rende più soddisfatto”.

“Con il libro sarebbe lo stesso?”.

“Mi arrivano tante lettere attraverso le redazioni con cui collaboro e molti lettori mi incoraggiano a continuare in questa direzione. Ma sento di dover fare dell’altro”.

“L’idea non è male, ma puoi farlo da solo?”.

“L’insofferenza che mi circonda rende il mio lavoro poco sereno” risponde Carlo continuando a disegnare, “Trovare qualcuno che mi aiuti a scrivere un libro non sarà facile. E non credo di volerlo”.

“Posso aiutarti”.

“Lo so. Le poche persone che ancora si degnano di rivolgermi la parola mi ripetono spesso la frase da Settembre sei cambiato. Non ne conoscevo l’origine e le mie richieste di spiegazioni cadevano nel vuoto. Riflettendoci con calma, penso di averne capito il senso”.

“Che cos’è questa novità?” chiede Diego, “Il processo è stato archiviato e non certo a Settembre”.

“Non ha a che fare con il processo”.

“E con cosa?”.

“La convention internazionale del fumetto di Vienna”.

“A Settembre?”.

“Sì. Fu lì che conobbi Jim Norton”.

“Il fumettista americano. Mi hai raccontato del ciondolo, giusto?”.

“Esatto. Ho pochi riferimenti per la mia carriera da disegnatore e tra questi c’è sicuramente Norton. Quel giorno, il miglior fumettista che abbia mai visto all’opera, diede vere e proprie lezioni di stile a molti giovani autori e ai tanti suoi detrattori, non pochi, presentando un albo rinnovato nella grafica della sua opera più famosa, Tombstone Tom, una di quelle opere che definire semplicemente fumetto è poco”.

“Ne ho sentito parlare, ma non credo di saperne più di tanto”.

“Il fumetto nasce come intrattenimento giovanile, un’utile alternativa alla stampa su carta senza figure o ai più ostici romanzi, ma sono anni che si disegnano e si sceneggiano storie per adulti che un ragazzino difficilmente apprezzerebbe in pieno. Jim Norton è stato un pioniere di questo genere. Non disegna solo le sue storie, le scrive. Non ha collaboratori e per apprezzarlo bisogna leggere Tombstone Tom”.

“E tu sicuramente lo avrai fatto”.

“Dici?” replica Carlo senza voltarsi.

Diego aveva liberato la sedia dal suo cappotto e si era seduto vicino. Mentre parlano, i suoi occhi sono rapiti continuamente dalle forme che con facilità vengono fuori dalla matita dell’amico. Era stupefacente come fosse così semplice creare immagini continuando a parlargli con lentezza e dovizia di particolari.

“Alla convention Norton parlò del famoso cemetery tour ovvero la frequentazione di obitori e cimiteri per realizzare le sue tavole.

Come faceva il grande Leonardo Da Vinci. Il modo migliore, secondo lui, per studiare e apprendere i segreti dell’anatomia e in generale di un corpo umano nei sui dettagli”.

Diego fa una smorfia.

“Non ci sono manuali, internet? Trovo questo alquanto assurdo”.

“È vero. Però se sfogli un albo di Tombstone Tom le impressioni che ne ricavi sono davvero forti, perché i dettagli con cui sono disegnate alcune scene sembrano davvero riprendere i passi meticolosi di un’autopsia. Tombstone Tom è uno dei fumetti più discussi e riusciti degli ultimi anni, forse il fumetto più famoso mai disegnato se si analizzano le vendite raggiunte e la popolarità riconosciuta”.

“Mmm…” commenta Diego.

“Si è scritto spesso che un’arte violenta possa influenzare le menti più labili. Si dice lo stesso di tante altre cose. Se uno ci riflette seriamente, arriva alla constatazione che non è l’invenzione in sé di una cosa a essere pericolosa, quanto l’uso che se ne fa, e quindi, la sua evoluzione. Pensa alla polvere da sparo, per esempio”.

“Vero”.

Mentre Carlo parla, Diego sfoglia un albo di Tombstone Tom indicatogli dall’ amico nella sua grande e ben rifornita libreria.

“All’inizio della mia carriera molti critici dicevano che avevo lo stile di Norton e per me non c’erano complimenti migliori. Il giorno della convention passai delle bellissime ore con lui e ricordo che non fu avaro di apprezzamenti nei miei confronti”.

Riposto il fumetto in libreria, Diego nota con stupore che da quando ha cominciato a disegnare il fumettista ha completato tre tavole.

“Norton mi regalò un ciondolo dicendomi di tenerlo per trovare l’ispirazione giusta ogni volta che l’avessi cercata” aggiunge Carlo, “Disse che a lui non serviva più. Quella sarebbe stata la sua ultima apparizione in pubblico perché stava dando l’ultimo saluto al suo mondo. Si ritirava definitivamente”.

“Bel modo di uscire dalla scena, no?”.

“Non lo so” risponde Carlo, “Forse tutte quelle frasi sul mio conto all’indomani della convention, tutte quei da Settembre sei cambiato, nascevano proprio da quel ciondolo che indossai senza più togliere”.

“E che c’entra?”.

“Forse qualcuno non sopportava che lui avesse scelto me come erede”.

“Mah” commenta Diego, “Norton è morto da poco o mi sbaglio?”.

“Sì”.

“È la prima volta che me ne parli, insomma, sembra abbia significato tanto per te conoscerlo di persona”.

“Vero. Credi che sia magico?” fa Carlo voltandosi e mostrandoglielo.

“La storia del passaggio del testimone è affascinante” replica Diego prendendo il ciondolo tra le dita e fissandolo con curiosità, “Ma la magia è una cavolata”.

“Dici?” fa Carlo rimettendosi a lavorare, “Se non è magia, non saprei come definirla, perché riconosco che l’incontro con Norton ha cambiato la mia vita professionale”.

Diego si alza e comincia a girare per il grosso salone pensieroso. Il suo sguardo si posa distrattamente sulla roba sparsa per la casa finché non nota il giornale del giorno prima in uno scatolone e lo raccoglie.

“In queste ultime ore in tv non si fa altro che parlare di un omicidio molto cruento avvenuto in città. Ne hai sentito?” chiede a Carlo.

“Il tizio ammazzato con un piccone?”.

“Esatto”.

“Bizzarro. Dovrei averci fatto un fumetto”.

Diego lo guarda.

“Sei serio?”.

“Lascia perdere. Allora, mi aiuti a scrivere il mio libro? Ora che mi sono confessato voglio il tuo parere professionale”.

 

Raffaele Scotti

 

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