Cronache di Mirko: Disperazione (Cap. 20)

CAPITOLO 20 – DISPERAZIONE

È difficile pensare a qualcosa di bello quando rabbia e tristezza offuscano la tua vista. Non c’è spazio per null’altro, perché le tenebre inghiottono ogni cosa. I fiori non crescono in ogni angolo di un prato mentre la notte copre ogni cosa quando non c’è il sole, essa arriva ovunque. Le mie dita stringono il pennello come se volessero strangolarlo eppure con pazienza stendo le ultime pennellate che dipingono un paesaggio ai miei occhi magico. Una volta ho sognato un luogo diverso, dove il cielo è azzurro ciano e la luce viene da un punto che si muove su di esso, un sole lontano e caldo, come una sfera di fuoco che rotola lungo il cielo, colorandolo di rosa e di viola quando raggiunge gli orizzonti. Nel mio sogno, l’erba non era chiara ma di un verde vigoroso e brillante. Era così bello quel piccolo pianeta…

Non l’ho più sognato ma il suo ricordo è così vivido dentro di me che mai potrei dimenticarlo. Un mondo pieno di colori, di vita e di suoni, l’ho amato fin da subito.

La mia tutrice mi rivolge uno sguardo arcigno. Sollevando il naso adunco in un’espressione disgustata. <<Che cosa sarebbe questa porcheria?>>

Sento una fitta al cuore per il fastidio, non sopporto che qualcuno offendi la mia arte, essa rispecchia quel poco di buono che è ancora rimasto dentro di me. L’arte è libera e può esprimere ancora un’innocenza che ho barattato molto tempo fa.

Lei mi lancia uno sguardo di sfida, guardandomi dall’alto verso il basso. È sempre stata una strega, ma ora lo sembra ancora di più. Me l’hanno affidata dopo che ho fatto infuriare tutti i miei precedenti tutori. Dicono che io sia un ragazzo difficile, problematico e inadatto a governare il regno dopo mio padre.

<<Sarai anche un principe, Thanatos, ma io sono la tua insegnante e ti insegnerò ad essere come sua maestà tuo padre desidera>>.

Faccio una smorfia disgustata, mentre lei guarda la scena da me disegnata: un prato color smeraldo sotto un cielo di zaffiro, con una palla lucente su di un lato che illumina due ragazzi sdraiati su una coperta a quadretti, con le dita intrecciate e gli occhi rivolti verso il cielo.

<<Ti ho chiesto di disegnare il panorama che vedi dal palazzo, non una scena di pura fantasia!>> strilla lei, arrabbiata. <<Sua maestà il re mi aveva avvertito che sei un ragazzo disubbidiente e difficile ma io ti farò passare la voglia di comportarti in questo modo, ragazzino>>.

Faccio un sospiro sconsolato mentre lei impugna un pennello, lo immerge nella vernice nera e lo passa con rabbia sui volti dei due ragazzi, sui capelli ramati di lui e su quelli ricci e biondi di lei, cancellandoli per sempre.

<<Che ti serva da lezione!>>

Nero. Questo è ciò che rimane del quadro, un scarabocchio di colori confusi e nascosti. Come la mia vita, come la mia anima. Di me non rimane più nulla. Sono un principe ma non ho nessuna libertà, schiavo di un sistema più grande di me che mi ingloba e mi ingabbia dentro di sé, cancellandomi lentamente.

Tanto vale essere uno del volgo allora, se devo vivere in questo modo, oppure…

“Devo diventare il re”.

Quando la lezione è finita scappo via dalla sala e scendo velocemente le scale del palazzo per raggiungere i piani inferiori, sotto le cucine, dietro le stalle, verso la piccola locanda in cui il Maestro vive dando alloggio ai viandanti. Così si guadagna da vivere da quando è stato allontanato dal palazzo per sospette attività illecite. Nonostante fosse di alto lignaggio, si diceva praticasse magia nera e per questo motivo è stato ingiustamente cacciato dalla corte. Tuttavia, gli era stato concesso un alloggio vicino alle mura, qualche pecora e un piccolo appezzamento di terra per il suo sostentamento. Suo padre si era sentito generoso a dargli anche delle cospicue somme in denaro e si era meritato l’appellativo di “re magnanimo”, ma erano solo sciocchezze, lui era tutto meno che magnanimo. Con i suoi avversari era sempre stato feroce e severo e questo la maggior parte dei sudditi avrebbe dovuto saperlo.

Il Maestro è seduto sul suo scranno, con la schiena ben dritta e lo sguardo altero, si atteggia come un re, ma non ha nulla se non quella casetta e le sue pecore.

<<Voglio scappare, Maestro, io non voglio più vivere questa vita!>> esclamo quando lo vedo.

Lui alza su di me due occhi pieni di disprezzo e di compassione. <<Sei sempre stato un debole, Thanatos>> è la sua risposta.

<<Non chiamarmi in quel modo!>> esclamo io, arrabbiato, non posso sopportare, non posso tollerare…

<<E come dovrei chiamarti? Cos’altro sei?>>

<<Sono un guerriero>> rispondo io, fieramente. Sono nato per combattere, per avere il mondo ai miei piedi, per sottomettere ed essere un grande re come mio padre e suo padre prima di lui.

Il Maestro è ora divertito e mi osserva coi suoi occhi glauchi e minacciosi. <<Che cos’è un guerriero, Thanatos?>>

Aggrotto la fronte, non sapendo dove vuole andare a parare, il Maestro ha sempre un secondo fine, è infinitamente saggio e anche se è scaltro, mi apre sempre la mente.

<<Colui che combatte>>.

Lui si alza in piedi, non è alto ma è imponente, la sua figura incute timore. <<E tu cosa stai combattendo, Thanatos?>> mi chiede con la sua lingua tagliente.

<<Io…>>. Non so cosa rispondere, mi tormento le mani e abbasso lo sguardo, cercando una risposta.

<<Già…>> mi dice, <<vivi ogni giorno al sicuro nelle ricche sale del tuo palazzo, con cortigiani e servitù, hai tutto quello che il popolo non ha e ti lamenti il doppio di quanto fanno gli schiavi. Dal tuo tanto belare potresti sembrare una delle pecore che pascolano nel mio recinto…>>

Impallidisco e il sangue sembra congelarsi nelle mie vene. Mai nella mia vita ho ricevuto un simile schiaffo morale da qualcuno, io sono il principe ereditario, è intollerabile un tale affronto…

<<Bada a come parli>> gli intimo, puntandogli un dito contro.

Il Maestro con due falcate mi si para di fronte. <<Altrimenti cosa fai?>>

La stanza si fa più buia e inizio a tremare di paura e di dolore, sta usando la notte su di me, per farmi del male. I vetri delle finestre si fanno sempre più scuri, come se si fosse fatto tardi, e tutto dentro la stanza viene inghiottito dal buio. Come una nebbia infida, l’oscurità mi si avvicina, mi avvolge come un serpente pronto a stritolarmi per poi mangiarmi. Non serve divincolarsi, questo lo so bene…

<<Pietà maestro!>> esclamo.

Il Maestro mi si avvicina, tronfio di superbia. <<Già ti arrendi, ragazzino?>>

L’oscurità si addensa attorno a me, s’infila nelle vene, annerendo il sangue, e la sensazione mi provoca un dolore acuto e viscerale che si tramuta in un urlo straziante. Il mio corpo inizia a tremare, scosso dagli spasmi, e le ginocchia non reggono più il mio peso, facendomi crollare a terra.

<<Guardati>> mi dice lui, con disprezzo, <<il futuro re dei quattro continenti in ginocchio che chiede pietà, l’erede del fiero re Tiberio III il Magnanimo, che piange come se avesse cinque anni perché la sua maestra gli ha sporcato il suo disegno e la sua mammina lo costringe a fare cose contro il suo volere, cose terribili come studiare e imparare le buone maniere… mi fai schifo, Thanatos, e devi sentire di fare schifo a te stesso. Rialzati da terra e diventa più forte, hai un regno da governare! Dove credi di arrivare con questo atteggiamento petulante e piagnucoloso? Quando sarai re ti uccideranno nel giro di una settimana! Alzati da terra, hai ricevuto il bacio della notte, usa il tuo potere per regnare degnamente!>>

Il dolore che sento mi toglie il respiro, eppure mi rialzo, sentendo dentro di me una furia incontrollabile e accecante. Nessuno potrà dominarmi, sarò un re!

<<Sì, così…>> dice lui, dopo un po’. <<Dimmi chi sei e cosa devi fare>>.

<<Sono il re dei quattro continenti e devo uccidere i miei nemici>> rispondo io, con voce metallica, ne sento l’eco come se giungesse da un luogo lontanissimo, mentre qualcosa dentro di me sprofonda sempre più in basso, il cuore viene seppellito negli abissi e tutto mi appare distaccato e lontano.

<<Che cosa farai ora?>>

<<Rivendicherò il mio trono>> rispondo, automaticamente, <<e ucciderò i miei nemici, a partire da lui>>.

<<Molto bene risponde lui, ora va’ a compiere il tuo dovere>>.

Mi allontano in silenzio, lasciandomi alle spalle la piccola abitazione del Maestro. Come accade ogni volta io mi sento rinato, temprato nel mio animo. Se sono troppo molle dentro, devo avere una corazza dura.  Sulle mie spalle gravano molti fardelli e io farò tutto il necessario per diventare un grande, al pari dei miei antenati, mi sporcherò le mani se necessario e i miei nemici tremeranno di fronte a me.

Con ampi passi entro dentro al palazzo, tra le guardie che si spostano e si inchinano, mi sento così regale quando la stupida plebaglia mi mostra le onorificenze che merito per diritto di sangue, loro non sono niente e io li schiaccerò come mosche se sarà necessario.

<<Padre!>> esclamo io, quando lo trovo seduto sul suo trono per le trattative assieme a quattro contabili. Re Tiberio III è un uomo d’onore, dal fisico robusto e lo sguardo serio. Un attento stratega, un oculato mediatore e anche un aggressivo rivale per i suoi nemici. Tutto il regno teme la sua ira.

<<In questo momento sono occupato, figliolo, devo risolvere alcune faccende, parleremo per ora di cena. Sei congedato>> mi risponde, mentre sistema delle carte sul tavolo davanti a sé.

La furia monta dentro di me. <<Ora tu mi starai a sentire, padre! Io non sono il tuo servo, farò quello che voglio io!>> grido io, puntandogli minacciosamente il dito contro. <<O ne subirai le conseguenze!>>

Lo sguardo che mi rivolge avrebbe potuto incenerire una metà del regno. <<Vattene subito e non parlarmi mai più in questo modo!>> ruggisce lui, <<è la terza volta che mi manchi di rispetto e non accadrà mai più! Guardie, scortate mio figlio in cella fino a domani mattina. Il gelo delle segrete gli farà bene…>>

Gli specchi della sala del trono moltiplicano il mio viso in ogni direzione, lo stesso avverrà per la mia gloria nel mio imminente futuro di sovrano. Un giorno tutta la sala sarà piena di quadri che raffigurano il mio regale corpo longilineo, i miei capelli dorati come il grano e i miei superbi occhi rosa, magici come il cielo di quel mondo che una parte di me in sogno ricorda.

<<Te ne pentirai!>> strillo io ma nessuno mi resta ad ascoltare quando grido e mi dimeno mentre le guardie mi portano via.

 

Davide Dan

 

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