Bloodshed (Cap. 6)

CAPITOLO 6

 

Oh, voi topi di fogna, siete così fedeli da farmi arrossire fino al midolloNon smettete di morire per me!

Eric Draven – Il Corvo

 

Carlo Rebo è riconvocato al Commissariato di polizia quando i corpi di due ex collaboratori sono ritrovati nelle loro abitazioni privi delle braccia, morti dissanguati come due vittime di un altro suo albo, Il Braccio della Morte.

“Tutto questo sta diventando ridicolo” dice a Teo e ai due poliziotti presenti mentre Diego è silenzioso alla sua sinistra.

Gli inquirenti dichiarano che il fumettista è solo una persona informata dei fatti, sebbene è evidente che non lo pensino. A Diego basta incrociare il volto di suo fratello per averne conferma.

“Io direi diabolico, che ne dici?” chiede Teo e Diego scuote la testa con disapprovazione.

“Divertente invece” risponde Carlo, “Quando pensai alla storia ricordo di essermi divertito a trovare tutte le analogie macabre”.

“Cosa c’è di divertente in un tizio che fa a pezzi le persone?” chiede uno dei due poliziotti presenti.

“Lei minimizza” ribatte Carlo, “Quella era una storia di un condannato a morte che scappa da un penitenziario e decide di vendicarsi di tutti quelli che lo avevano incolpato. Il suo piano è divertente e orrendo allo stesso tempo: staccare le braccia dei suoi persecutori e guardarli morire perché lui stava lì, nel Braccio della Morte”.

“È quello che vorrebbe fare lei?” incalza il poliziotto.

“Signori!” dice Diego, “Il mio assistito sta solo esponendo la trama di un suo fumetto!”.

“Trovavo divertente la storia” replica Carlo al poliziotto, “perché nella sua infantile vendetta, il personaggio risultava anche un innocente incompreso che a un certo punto perde completamente le staffe. Vede svanire ogni possibilità di salvezza. Le persone lo odiano perché ha posto fine alla vita di due bambini e nessuno gli crede quando cerca di far capire che è stato solo frutto d’ingenuità e non crudeltà”.

“Molto poetico” commenta il poliziotto.

“Non c’è poesia nella nuda realtà” afferma Carlo, “I due bambini muoiono perché ognuno di loro perde un braccio mentre sono con lui in moto e attraversano lo spazio ristretto tra due camion parcheggiati, come fanno in certi film dice il protagonista difendendosi al processo”.

“Lei ha mai fatto queste cose, signor Rebo?” chiede il secondo poliziotto presente nella stanza.

“Ma per favore!” fa Diego, “Non ha nemmeno la patente!”.

“Come dice il mio avvocato, non guido” risponde Carlo.

“Quell’albo fu oggetto di critiche feroci perché secondo qualcuno istigavi i ragazzini a quel tipo di gioco” dice Teo.

“Sei informato” sentenzia Carlo.

“Li ha girati lui tutti quei film in cui i protagonisti passano indenni tra due grossi camion?” chiede Diego guardando fisso suo fratello, “L’ha inventata lui la moda di distendersi su una strada e farsi schivare dalle auto in corsa?”.

“Che rapporti aveva con il suo ex capo redattore?” chiede il primo poliziotto ignorando Diego.

“Rapporti?” risponde con scherno Carlo, “Quando è morto nemmeno l’ho saputo, se non dai giornali”.

“Per questo allora pagano i figli?” ribadisce secco il poliziotto, “L’assassino ha fatto pagare loro per lui?”.

“Che cazzo sta insinuando?” grida Carlo alzandosi dalla sedia, ma Teo lo interrompe trattenendolo.

“Lasciateci soli” dice rivolgendosi ai colleghi.

“Non è il caso” afferma il secondo poliziotto fissando Carlo con sfida mentre il primo si porta in avanti minaccioso.

“Metti in dubbio la mia professionalità?” chiede Teo alzandosi anche lui e mettendosi di fronte al collega che avanzava.

Carlo è di nuovo seduto con Diego che lo trattiene. L’amico gli dice di calmarsi e di non fare il loro gioco mentre osserva il fratello.

Lo spazio dove si trovano è ristretto. Nel Commissariato gli odori ristagnano. C’è fumo, c’è fritto e c’è sudore, forse per via dei caloriferi troppo alti pensa, ma la sensazione predominante che prova ogni volta che ci ritorna per le continue visite di Carlo è sempre di nausea.

Non gli mettono una lampada in faccia e non urlano le loro domande come nei film, ma la sensazione che il suo cliente fosse l’unico indiziato per gli omicidi è sempre più evidente a dispetto di tutte le rassicurazioni ricevute dal fratello.

I due poliziotti presenti quel giorno stavano in piedi e alle spalle di Teo quasi fossero state guardie del corpo. All’inizio Diego aveva pensato che si sarebbero limitati a fissare Carlo per metterlo in soggezione. Forse faceva parte di una tattica, un modo per capire se mentisse.

Mentre suo fratello li affronta, si guarda intorno cercando uno specchio da cui tante volte aveva visto sbirciare un’altro poliziotto, sempre nei film, senza trovarne.

“Dovrebbe consolarci” mormora a Carlo che non lo capisce.

Nel frattempo, il secondo poliziotto prende per un braccio il primo portandolo fuori dopo avergli mormorato qualcosa all’orecchio.

Teo resta in piedi finché non sono andati.

“Li hai minacciati” borbotta Diego quando il fratello si risiede.

“Non credo” dice l’altro e rivolgendosi a Carlo gli chiede se tutte le storie che disegna nascevano dai suoi sogni.

“Prego?” fa Carlo sbalordito.

Nel loro precedente incontro non ne avevano parlato e sulle prime il fumettista resta più interdetto che offeso, dopo, come uno che ha ricevuto una rivelazione inattesa, arriva alla certezza che i rapporti confidenziali tra i due gemelli abbiano travalicato un limite.

Se si confida con il suo avvocato per questioni che non riguardano strettamente il lavoro, lo fa per un suo interesse e perché sente Diego anche come un amico. Suo fratello sta dall’altro lato della barricata.

È l’inquisitore, colui che vuole le risposte a tutti i costi e per quanto possa comportarsi da amico, Carlo ha capito sin dall’inizio che il solo punto in comune con il fratello avvocato è l’aspetto fisico.

Sente che è cattivo, o per lo meno, freddo e calcolatore, sicuramente meno razionale del fratello e molto più istintivo. Ogni volta che Teo gli chiede una cosa, sembra già essere arrivato alla risposta da solo e Carlo crede che l’investigatore abbia la soluzione di quel caso e si limiti a girarci intorno. Vuole che confessi, ma cosa?

“Il tuo amico prima mi ha accusato d’omicidio” dice Carlo, “E adesso vuoi sapere dei miei sogni?”.

“Non credo che tu abbia ucciso i tuoi ex collaboratori perché erano i figli del tuo ex capo” risponde Teo.

“E cosa credi?”.

“Che i miei amici ti volevano provocare e ci sono riusciti”.

Carlo scuote la testa rassegnato.

“Allora? Che mi dici dei tuoi sogni?” incalza Teo.

“Hai la stessa passione di tuo fratello o il mio avvocato ti ha fatto qualche confidenza di troppo?” chiede sferzante Carlo.

“Carlo” dice Diego attirando la sua attenzione, “Quello che faccio è nel tuo interesse, credimi”.

Carlo non gli crede ed è convinto ormai di essere al centro di un raggiro, ma lo sguardo dell’amico avvocato che incrocia quando si volta verso di lui è benevolo. Per un attimo è incerto su cosa ribattere.

Ha la sensazione che l’amico possa ipnotizzarlo, suggestionarlo in qualche modo, ma come per rispondere a quel dubbio non espresso a parole, Diego fa cenni di diniego.

“Non ti sto prendendo in giro”.

Teo, nel frattempo, osserva senza parlare e aspetta che gli risponda.

“I miei fumetti non nascono da sogni. Forse semplicemente non lo ricordo come succede a tanti. Quello del sogno ricorrente è tutt’altro. È la mia storia, è qualcosa che devo ancora capire, ma non ha a che fare con morti e sangue. È diverso”.

“Ne sei sicuro?”.

“Credo di sì” risponde Carlo alzando le spalle, “Fin ora è così. E questo non fa altro che portarmi al ciondolo di Norton e da come tutto sia cambiato quando è venuto in mio possesso. Dite quello che volete, ma se non è magia è autosuggestione.

Diego te ne ha parlato? Sai a cosa mi riferisco?”.

Teo annuisce e Carlo si sforza di sorridere. Non crede nella magia, ma la sua razionalità lo porta sempre a quella considerazione ogni volta che si parla del ciondolo.

“È così che si adulano gli ignoranti e i creduloni” fa Teo.

“Infatti” ribatte Carlo, “Forse mi mancava la spinta”.

“Non sei uno sciocco. E non ci credi veramente”.

Carlo alza le spalle.

“Puoi dirmi altro? Qualche storia che ricordi di aver realizzato e che si colleghi a questo che sta succedendo?”.

“Diversi anni fa disegnai un’altro albo che ebbe un notevole clamore, Il Collezionista” risponde Carlo, “Il protagonista, un imbianchino, colleziona i piedi delle vittime che sono anche suoi committenti”.

“Dici che dovremmo indagare su degli imbianchini?”.

“Come faccio a saperlo? Si potrebbero controllare tutti gli imbianchini in circolazione così da prevenire qualche altro possibile omicidio?”.

Teo sorride amaramente.

“Non avete un profilo psicologico o qualcosa del genere?”.

“Ce l’ho davanti”.

“Dovrebbe essere divertente?”.

“È un’ipotesi”.

“Ci sono accuse formali, Teo?” chiede Diego, “Perché non mi piace quello che stai facendo. Parla chiaro. E tu, Carlo, non dire più nulla”.

“Rilassatevi. Sto solo vagliando un’ipotesi valida. Per come stanno le cose, tu sei l’unico indiziabile” dice Teo puntando un dito su Carlo.

“Ma che cavolo dici?” sbotta Diego.

“È l’unico ad aver pensato e messo in atto quegli omicidi” risponde Teo calmo, “Solo su carta, è vero, ma riprodurli così fedelmente nella realtà comporterebbe un dispendio di risorse che dovrebbe coinvolgere una troupe del cinema che si occupa di effetti speciali. Solo che questo di cui parliamo non è finto, avviene realmente”.

“E a maggior ragione non può essere stato lui” ribatte Diego stupito, “Come potrebbe farlo?”.

“Non l’ho detto”.

“Ma è ridicolo” dice il fratello.

“Ti sto riportando quello che altri pensano. Non importa ciò che credo io” afferma Teo, “I poliziotti che sono usciti da questo ufficio hanno preso questa strada e tu dovresti aiutarmi a convincerli che sbagliano”.

“E che dovrei fare io?” chiede Carlo.

“Sarebbe più facile se smettessi di disegnare” risponde Teo.

“Ti posso dimostrare” dice Carlo, “Che se smettessi di farlo adesso, ci sarebbero ancora più di un milione di possibili vittime, se si considerano tutti i fumetti che ho già pubblicato!”.

“E comunque il problema non può essere lui” aggiunge Diego.

“Voi non capite” ribatte Teo, “Questi omicidi non hanno uno schema fisso, non si rifanno a una serie particolare di fumetti, ma prendono spunto da vari albi pubblicati negli anni per diversi editori. Non si possono prevedere”.

“Allora devo ritirare tutte le pubblicazioni” sentenzia Carlo beffardo, “Così evitiamo tentazioni future!”.

“Se smettessi di disegnare per un po’” continua Teo, “Gli potresti far capire che sbaglia, lanciandogli magari un messaggio in tal senso. Se l’assassino è un tuo fan può anche darsi che ti stia a sentire”.

“Tu non credi che sia un mio fan”.

L’espressione di Teo non cambia

“Ciò che penso è irrilevante”.

“Ma da che parte stai?” incalza Carlo, “Insomma, cerchi di aiutarmi o hai già tratto le tue conclusioni?”.

“Senti Carlo” s’intromette Diego, “Rilasciare una dichiarazione di questo tipo attraverso i media potrebbe portare a una rapida soluzione, per non parlare poi della buona pubblicità che ne avresti. Come avvocato mi sento di consigliartelo”.

“Ma non eri tu quello che m’incoraggiava qualche giorno fa a continuare il mio lavoro?” replica Carlo fissando severo l’amico, “È una questione di principio” aggiunge dopo riportando lo sguardo sull’impassibile Teo, “Perché non chiedono lo stesso ai costruttori d’auto e moto di grossa cilindrata? Quanti muoiono perché danno troppo gas ai loro motori? Perché i distributori d’alcool e fumo non mettono la loro bella faccia su un giornale incitando a un uso moderato dei loro prodotti? Lo stesso dovrebbero fare i produttori di videogame con cui molti adolescenti si frantumano il cervello! E che dire di chi mette in commercio armi o detersivi?”.

Teo lo fissa senza rispondere.

“Insomma, è vero che proteggo un mio interesse” continua Carlo rivolgendosi per un attimo a Diego, “Non lo nego, ma perché dovrei rinunciare al mio lavoro, perché svendere i miei prodotti quando uno ed uno solo dei miei acquirenti ha qualche rotella fuori posto?”.

Per un po’ c’è silenzio tra loro. Dall’unica finestra s’intravede il sole scendere sull’orizzonte mentre l’atmosfera all’interno sembra essersi raffreddata. Diego ha lo sguardo fisso a terra. Teo, come sempre, è una statua di ghiaccio.

“Voglio fare una dichiarazione pubblica” dice all’improvviso Carlo, “Voglio farla un’intervista e voglio uscire su tutte le radio e tutte le tv. Voglio dire a questo stronzo di un maniaco che si metta la canna di una pistola in bocca e prema il grilletto fino a farsi saltare le cervella”.

“Niente da fare” ribadisce secco Teo.

 

 

Quando rientrano nell’appartamento di Carlo la situazione che trovano è di un ordine sparso a cui entrambi non sanno dare una spiegazione. Contrariamente a quanto si vede nei film, la polizia aveva portato via molta roba lasciando l’appartamento in ordine.

Non era stato un sequestro, né una perquisizione, sebbene l’evolversi della situazione stesse rendendo Carlo molto più simile a un indiziato.

“Tutto questo non ha senso” borbotta tra sé Carlo guardano sconsolato la sua casa vuota e dirigendosi verso la tv. L’accende svogliatamente e si sintonizza su un’emittente nazionale su cui sta passando l’ennesimo quiz, “Preparo un po’ di pasta, ti va?”.

“No grazie” risponde l’amico sedendosi al tavolo nell’angolo cucina, “Devo andare”.

“Che rapporti hai con tuo fratello?”.

“Perché lo vuoi sapere?”.

“Voglio sapere da che parte stai”.

“Non c’è nessuna parte da cui stare. Tu sei vittima non meno di quei poveracci che ritrovano morti”.

“Tuo fratello non ne è convinto”.

“Fa la sua parte”.

“Accusandomi?”.

“Lui non la pensa come gli altri poliziotti, te lo ha detto”.

“Ma non mi ha detto nemmeno come la pensa lui”.

“Lo farà al momento giusto, vedrai”.

Carlo preferisce accantonare la discussione per mettere qualcosa sotto i denti. Fa bollire l’acqua, tira fuori una scatola dal frigo con del sugo precotto e lo mette a riscaldare in un’altra pentola, poi, scelta la pasta, si siede sul divano davanti alla tv.

“I miei sogni, cazzo, anche quello gli hai raccontato”.

Diego si siede vicino a lui.

“Deve sapere tutto. Altrimenti non può aiutarti”.

Carlo fa di sì con la testa, ma non ne è convinto.

In tv, il quiz passa il testimone al telegiornale della sera.

“Comincio ad avere un certo gusto nel sognare” afferma Carlo ascoltando i titoli del Tg, “Perché per quanto insolito, il mio sogno ricorrente mi affascina”.

“Sogni anche a occhi aperti?”.

Carlo si volta verso l’amico con un’espressione vuota. Ha gli occhi lontani, sembra con i pensieri altrove, quasi in trance, ma allo stesso tempo le sue parole sono presenti e vigili.

“Forse” risponde.

“Continua” sussurra Diego.

Carlo torna a fissare il telegiornale della sera.

“Rientro da un giardino” dice, “E mi addentro con la mia guida tra le altre stanze del castello. La festa era in castello. Incontriamo sempre persone che continuano a mostrarci astio e freddezza.

Il castello è mio e quella gente mi deve rispettare.

Continuiamo a camminare. Il corridoio sembra infinito. Tutte le stanze hanno le porte aperte e tutte ci mostrano l’interno. Su alcune ci soffermiamo all’uscio, in altre avanziamo. Non ricordo l’interno”.

“Ti da fastidio?” chiede Diego.

“Oh, sì” risponde Carlo con voce sognante, “E quanta rabbia provo in quei momenti. Ogni volta però, sorridendo, la mia compagna mi tira via per condurmi in altre stanze finché sono di nuovo sveglio”.

Diego abbassa la testa pensieroso, la tv, intanto, sta ancora enunciando le sue catastrofi attraverso il telegiornale della sera.

“Mi inquieta questo viaggio” dice Carlo con voce normale, “Così come mi affascina allo stesso tempo questo girovagare per il castello.

Ma non è tutto”.

“Cosa?”.

“Non ho sognato solo quello”.

“Racconta”.

“Ricordo una stanza spoglia e un uomo che mi ha tirato via dalla mia guida che non ha protestato. Sogni, mi dice l’uomo, solo attraverso i sogni possiamo fare questo”.

“Va avanti”.

“Non mi chiedi chi era l’uomo?”.

“Non ti faccio domande di cui conosco già la risposta”.

Carlo non replica e si limita a guardarlo con la stessa espressione di prima. Sembra più presente adesso, più padrone di sé. Sapere di sognare, esserne cosciente dall’interno del sogno stesso, la cosa più bizzarra che si potrebbe pensare, e avere dinanzi l’uomo sognato.

Cose del genere le ha immaginate per i suoi fumetti, eppure accadono a lui tutte le notti. Del viaggio onirico con Diego ricorda la mancanza di astio e fastidio nei suoi confronti. Le persone, con lui, sembravano accettarlo. La donna li aveva seguiti a pochi passi con un viso scuro e l’espressione severa. La sua nuova condizione non gli piaceva.

“Che mi sta succedendo, Diego?” domanda all’amico quando ha finito di parlare.

L’avvocato lo guarda senza rispondere.

 

Raffaele Scotti

 

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