Bloodshed (Cap. 5)

CAPITOLO 5

 

Guardami bene! Ho il cranio in fiamme!

 Tu che dici? Mi piace stare all’Inferno?

Johnny Blaze – Ghost Rider

 

  È difficile cominciare, anche se so bene cosa scrivere. Non mi mancano le parole. Forse è solo la forma. Vorrei fosse semplice e mi sforzerò affinché lo sia, ma non credo vi renderà la lettura facile.

Siete avvisati.

Entrare nel mio mondo è come viaggiare di notte con poca luce.

Non avete nulla di cui spaventarvi perché oltre il buio non c’è nulla che vi possa nuocere.

Tutto quello che vi può far male è alla luce del giorno.

La mia Musa, colei che mi ha inspirato ha il volto di una donna. È lei che ha dato forma definitiva alle mie rappresentazioni grafiche.

Come posso spiegarlo?

Lei venne di notte. Era sempre stata con me, ora lo so.

Mi allontanò dal mondo e il mondo mi odiò per questo.

Lei era mia e io ero sua. Il nostro sodalizio è rimasto indissolubile.

All’inizio non capivo quale fosse il mio ruolo, ma nel tempo ho imparato. Il destino penserete. Io so solo che ho cominciato ad ascoltarla. È lei in realtà che racconta la mia storia.

La mia Musa detta le mie parole attraverso questo libro che ho deciso di scrivere per voi. Sarà come un diario, perché racconterà i giorni della mia infanzia, il ricordo della mia nascita artistica che affonda in immagini spesso sbiadite. Sarà una confessione, perché capirete – io lo so – cosa mi spinge a fare ciò che faccio.

 

  Pochi sono quei momenti indelebili che hanno segnato la mia vita, eppure ho avuto un infanzia come le vostre. Che ci crediate o meno.

Come voi sono stato un bambino allegro e incosciente. Tutto mi era dovuto perché la mia età pretendeva solo attenzioni, affetto e amore.

I miei genitori mi hanno insegnato il valore delle cose nel poco tempo che è stato loro concesso e pur non dividendoli con fratelli o sorelle so di non essere stato trattato in modo speciale.

Non sono mai stato viziato.

Di straordinario, attorno a me c’era il mondo nelle sue molteplici manifestazioni. Ricordo i colori e le emozioni che suscitavano in me.

Erano nelle cose e nelle persone.

Mio padre, un operaio, era un uomo onesto.

Mia madre, una semplice casalinga, ha tenuto saldi in me principi e valori che oggi non vedo nei vostri figli. Sì, lo devo dire.

Li viziate, li coccolate e li lasciate nel mondo carichi di cose senza valore.

Vi giudico, è vero, perché lo stesso avete fatto con me.

E continuerete a farlo.

Devo parlavi di quello che sono, che ero e che sicuramente sarò.

Lo devo dire a voi che mi odiate soprattutto, perché capiate.

La mia arte, la mia espressione di vita, si manifesta attraverso matite, chine e colori che mi permettono di sopravvivere. Certo è un lavoro. Un lavoro onesto e ben pagato quando si arriva al successo come me. Potete dire di tutto sul mio conto, ma non che mi aggiro tra voi con arroganza. Io ho bisogno di farlo e lo capirete.

Parlo anche a voi, tanti, ch mi amate, perché possiate perseverare nel vostro sentimento e tramandarlo. Ne ho bisogno e lo capirete.

La morte sovrana tra i miei disegni è presente nelle nostre vite in forme diverse. Perché io abbia deciso di rappresentarla in così tante sfaccettature non posso dirlo ancora. Ma saprete.

 

  La mia Musa detta le mie parole e mi riporta a ricordi lontani.

Devo partire da quel luogo e quel tempo per farvi capire come tutto è cominciato. Volete venire con me?

Ci sono disegni, colori, persone, animali e cose. Un mondo intero di autori diversi ma soprattutto disegni – rappresentazioni – di una realtà crudele. Non sono stato in guerra, né in prima linea a lottare ingiustizie di uomini contro uomini.

Uomini contro natura.

Uomini contro animali.

Ma l’ho sentito, letto, visto attraverso molteplici rappresentazioni.

Tutto questo, come in voi, si è annidato da qualche parte ed è cresciuto, è scappato al controllo della morale, della bontà d’animo ed è diventato energia. Il disegno, l’arte di sublimare questa potenza che mi domina rende tutto catartico.

Non l’ho penso io. Non l’ho inventato io.

Io ho trovato la cura per il mio corpo e la mia mente.

Tutto ha un’origine, tutto finisce.

La mia Musa ricorda per me e mi parla di quella persona che un giorno ha cambiato la mia prospettiva del reale.

 

  Quando l’ho incontrato per la prima volta eravamo entrambi studenti liceali e sebbene non frequentassimo la stessa classe c’incontravamo negli orari di spacco o a lezioni comuni, cosa che accadeva più raramente, perché vivevamo nello stesso istituto che ci aveva adottato.

Venivamo entrambi da situazioni complicate.

Ai miei genitori fu levata la mia custodia per mancanza di un reddito decente. Qualcuno aveva deciso che non sarebbero stati in grado di istruirmi e crescere adeguatamente. Ricordo perfettamente il momento del distacco e la dignità dipinta nei volti di mio padre e mia madre.

Non li ho mai cancellati dalla mente.

Non ci siamo mai allontanati gli uni dall’altro e anche da adulto indipendente, quando cominciavo a guadagnare i miei primi soldi grazie ai fumetti, non hanno voluto nulla da me.

Hanno vissuto fino all’ultimo con poco e né io, né loro abbiamo avuto rimpianti per questo.

Lui invece i suoi genitori li aveva visti morire.

Dissero che era stato un incidente automobilistico, ma qualcuno aveva avuto anche il sospetto che lo avesse provocato. Non so quale sia la verità e se mai è venuta a galla con il tempo. Con il senno di poi sarebbe facile trarre conclusioni. Che importanza avrebbe oggi?

Quel che è certo e che nessuno intuì in quegli anni fu proprio la sua attitudine alla malvagità che si manifestava esclusivamente attraverso e le arti grafiche.

Siamo abituati alla presenza di bambini o adolescenti selvaggi e privi di morale. Parlo di quelli che seviziano piccoli animali, giocano pericolosamente con il fuoco e cose simili. Se si analizzano le cosiddette persone cattive molto probabilmente troverete queste o altre caratteristiche che li contraddistinguono. Nel peggiore dei casi, traumi o violenze in famiglia. È risaputo.

Ma io non sapevo allora e ignoro adesso quale dramma lo avesse segnato se non la morte dei genitori. E più ci penso, più credo che sia quello e il fatto che non abbia avuto il sostegno tanto caro alle moderne istituzioni.

Non sono uno psicologo, quindi non mi dilungherò in questa superficiale analisi. Sono tuttavia convito che la sua catarsi si rivelava in una furibonda aggressione grafica, un modo perverso forse di liberarsi dai fantasmi e demoni che lo tormentavano.

 

  Era il migliore.

Non ricordo nessuno a quei tempi in grado di stupirmi con un semplice tratto di matita. Non sono uno che si emoziona facilmente oggi né lo ero allora. Il suo talento era innegabile e mentirei se dicessi che non tentavo di imitarlo. Fu la prima e vera volta in cui capii che c’era qualcosa che ci accomunava. Io disegnavo per induzione, costretto da un professore o un altro per qualche voto buono da racimolare.

Mi dicevano che avevo talento, una dote naturale, ma non l’ho mai veramente coltivata se non dopo aver visto i suoi disegni.

Io li capivo, percepivo la tensione che li generava. Il disagio, la rabbia e tutto quello che dalla sua bocca non usciva mai.

Era taciturno, isolato e seguiva le lezioni. Non lo vedevi mai con nessuno se non con i suoi album e le sue matite.

Cosa disegnasse lo scoprii per caso.

Senza fiatare e senza protestare accettò un giorno la mia compagnia.

Ricordo ancora perfettamente quando mi sono seduto alle sue spalle, con la schiena allo stesso albero nel cortile dell’istituto.

Mi ero messo a disegnare la facciata della scuola e sbirciai più di una volta il suo lavoro. Erano fumetti. Strisce complete, finite, a volte abbozzate ma prive di dialoghi. Storie mute che di dipanavano per la grandezza dell’intero album. Ne cambiava uno a settimana.

Furono quei fumetti a farci incontrare. Non ricordo nemmeno come è cominciato, se mi ha mai veramente parlato quel giorno. I nostri discorsi erano di grafite e sono sicuro che fu la nostra comune passione per il disegno a metterci in comunicazione.

Un po’ per volta ho conquistato la sua fredda fiducia e divenni probabilmente l’unico amico che avesse all’istituto.

Aveva un nick con cui firmava ogni sua opera, lui era mio amico, lui era Bloodshed.

 

  Quando mi consegnò i suoi album dopo che lo catturarono la prima cosa che fece fu ringraziarmi. Credo lo sapesse, credo lo volesse come coloro che fuggono dai propri demoni con la muta richiesta di aiuto.

Chissà se ha mai saputo cosa veramente pensavo di lui.

Il destino si è fatto beffe di noi e ci ha indicato strade opposte.

Forse lui conosceva la sua sin dall’inizio.

Dovremmo chiederglielo se mai decidesse di parlare.

Non proferì parole dopo la sua cattura, né quando lo interrogarono, né al processo. Le uniche forse le disse a me.

Eppure era tutto nei suoi album, la sua confessione era disegnata.

Ricordo però le poche parole che mi ha detto:

“Io cercavo di fargli assaporare un po’ alla volta tutta la faccenda, come so fare io, con calma. Ho una certa familiarità con queste cose: prima li metti a proprio agio, poi gli dai il loro veleno con una punta di miele. Ci sono sogni che uccidono.

Meritavano la consapevolezza delle loro azioni.

Con il prete sarebbe stato diverso, più facile. Era quello che avrebbe meritato quel maledetto, ma la fortuna non gli ha voltato le spalle. Avrebbe sofferto. Spero sia accaduto anche senza il mio intervento”.

 

  Non so se avesse il potere di indurre le persone a farsi del male come ho letto su qualche articolo che parlava di lui, ma quando trovarono le sue vittime nei loro visi c’era la consapevolezza dell’orrore a cui lui li aveva costretti. Ricordo bene la dettagliata descrizione che fece il magistrato che lo ha portato a giudizio. Ero presente alla sua spettacolare conferenza stampa. Credo che nessun assassino si sia mai meritato tanto zelo.

Per Bloodshed era tutto giusto, disse il magistrato quel giorno.

Quali colpe avevano le vittime?

Credo che mi abbia consegnato i suoi album perché voleva che raccontassi la sua storia. Gli è sempre piaciuto stare sotto i riflettori.

Non siamo diversi in questo.

Il suo isolamento lo metteva in mostra e gli dava quell’attenzione ricercata. Per anni ha pianificato le azioni. Le ha sceneggiate per poi rappresentarle. Io ho bisogno di raccontarla prima a me stesso questa storia, perché devo farvi capire il profondo legame che ci univa.

E che ci rende diversi.

Lui ha ucciso per il gusto di farlo e le conseguenze del dolore che è riuscito a procurare gli danno ancora adesso il motivo di continuare a credere di aver fatto la cosa giusta.

Non è tutto così.

Gli hanno fatto del male e come dichiararono i dottori che cercarono di curarlo era ossessionato dalla vendetta.

È tutto nei suoi album.

 

Raffaele Scotti

 

 

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