Bloodshed (Cap. 10)

CAPITOLO 10

 

Io sono quello che esce dall’ombra,

strafigo e arrogante con soprabito e sigaretta,

pronto ad affrontare la follia.

John Constantine – Hellblazer

 

  Bloodshed, pagina 109

 

Il sangue che avrebbe macchiato l’oro sacro sarebbe stato il sigillo definitivo sulle loro colpe, perché dal suo punto di vista i parrocchiani non erano meno colpevoli del prete.

Avevano mentito, lo avevano fatto impazzire.

Un anno dopo il furto nella chiesa fu recapitato a uno dei due poliziotti del quartiere un messaggio e un pacco. Nel pacco c’erano residui di polvere dorata e il messaggio diceva:

 

Ammazza il tuo compagno o a da questo Giovedì Santo, ogni settimana nello stesso giorno, un abitante del quartiere morirà.

 

Il poliziotto non si sottomise e denunciò l’accaduto dando inizio all’indagine che per due mesi ho seguito come tanti attraverso i mass media. Non sapevano chi cercare e perché farlo. Non avevano moventi e mentre cercavano di capire, otto abitanti del quartiere furono uccisi.

La stampa si rivoltò contro gli inquirenti e prima che la nona vittima fosse scoperta il poliziotto ammazzò il suo collega per poi suicidarsi.

Sul luogo venne rinvenuto un altro messaggio:

 

Pochi per me o tutti per loro.

 

La caccia all’uomo che ne seguì è nota.

Gli inquirenti avevano qualche informazione in più che erano riusciti a non far arrivare alla stampa e tv. Il cerchio si strinse e in quel contesto venni coinvolto anche io quando si risalì agli album di disegni del periodo in cui eravamo al liceo.

Il mio coinvolgimento nelle vicende divenne sempre più attivo e solo quando fu arrestato – sono in molti a credere che fu lui a farsi arrestare – il mio nome fu reso noto.

Con le conseguenze che ancora oggi pago.

 

 

Diego interrompe la lettura e ripone la graphic novel nella libreria.

Chiude quindi gli occhi.

Carlo è alla finestra e guarda in silenzio l’ennesima manifestazione inscenata sotto casa. La folla è tanta, anche se nel suo intimo ne è quasi deluso perché sembrano pochi e il confronto con i manifestanti che ha visto nei giorni precedenti irrisorio.

Torna al tavolo da disegno e continua a lavorare a un fumetto.

Nella sua testa quello è l’ultimo, ma la certezza di portarlo veramente a termine non è forte come nei mesi precedenti.

Hanno vinto loro alla fine.

Vive ancora da recluso e nessuno avrebbe il coraggio di pubblicarlo anche se crede che qualche tipografo temerario lo potrebbe trovare.

Il gusto di un ultima sfida lo tenta, ma con Nadia fuori dai giochi sente di aver perso lo stimolo. La donna gli aveva dato qualcosa e l’allucinogeno centra poco. Diego aveva detto che al Commissariato Teo l’avrebbe trattenuta il più possibile, il che voleva dire che c’era la possibilità che sparisse nuovamente. O per sempre.

“Anche se troviamo l’allucinogeno, non possiamo dimostrare che ce l’ha messo lei nel ciondolo” aveva detto l’amico avvocato.

Sia Diego che Teo hanno comunque cercato di convincerlo che la sostanza assunta attraverso il ciondolo di Norton non gli avrebbe impedito in futuro di creare nuove storie. Bisognava portare a termine le indagini, riuscire a far parlare una volta per tutte la donna e riprendersi poco per volta la propria vita.

Da quando era stata portata al Commissariato Nadia però non aveva parlato e questo lo riporta a tanti anni prima, a vicende simili: un compagno di liceo serial killer. Dopo un infanzia tormentata e un’adolescenza solitaria, da adulto aveva trovato il motivo per liberarsi dei suoi fantasmi. Aveva ucciso un numero non ancora quantificato di persone e molte di queste erano state anticipate nei suoi disegni che gli aveva consegnato. Già allora la polizia lo aveva coinvolto nelle sue indagini e adesso, in modo diverso, si ritrova nella stessa situazione. Cosa legava due storie lontane nel tempo?

Teo non lo aggiorna sugli sviluppi e se il fratello avvocato ne sa qualcosa di certo non glielo racconta. In quella situazione attaccarsi alla voglia di disegnare non gli basta più.

Con il passare dei giorni Carlo trova sempre meno stimoli e il pensiero che sia solo il frutto del caso a volerlo attore in entrambe le vicende non lo sfiora. Eppure, la voglia di capire non è tanta da farlo lottare.

Ha dieci uomini della scorta in ogni angolo del palazzo in cui vive. Poliziotti che stazionano in strada per controllare la folla inferocita. Sono  stati scelti da Teo, sebbene la loro lealtà sia stata incentivata da qualche extra in busta paga. I soldi non sono un problema per Carlo, ma lavorare tanto per la sua sicurezza gli fa pensare a una situazione tutt’altro che avviata alla soluzione. Forse è più grave di quello che mi dicono, pensa, ma cosa realmente stia succedendo non lo sa.

Ha perso fiducia in Teo e nella polizia.

Smettere di produrre nuove storie non è servito perché gli omicidi continuano. Lo sanno perfino color che vogliono ogni giorno la sua testa, quelli che vengono con le fiaccole sotto casa. Che non ne fosse lui l’artefice è evidente, eppure continuano a tormentarlo.

“Vogliono che io scompaia per sempre” aveva detto una sera all’amico Diego, “Credono che io sia la causa di tutto il male di questo mondo”.

“È quello che hanno fatto con te?” gli chiede quest’ultimo portandolo via dalle sue riflessioni.

“Cosa?” risponde voltandosi.

“Il libro è un transfert non è vero?”.

Carlo continua a fissare Diego senza capire, poi, vedendolo al fianco della sua libreria capisce.

“Ogni fumetto è un transfert”.

“Perché continui? Sai che non ti permetteranno di pubblicare altro”.

“Perché è tutto quello che ho” risponde Carlo che ha ripreso nel frattempo a disegnare la storia sul tavolo da disegno.

“Come finisce?”.

Carlo non risponde.

“Hai lasciato il libro in sospeso. Come finale è intrigante. Ho riletto alcune parti poco fa e mi sono chiesto alcune cose. Penso a un seguito, ma è difficile ipotizzarlo in questa situazione. In futuro chissà, ma avrai di certo un idea. Come va a finire?”.

“Che importa? Nessuno lo saprà mai. Mi prenderanno, m’impaleranno e mi daranno fuoco”.

“Puoi sempre tornare dal mondo dei morti”.

Carlo sorride debolmente.

“Sappiamo che polizia lo prende, ma come finisce Bloodshed? La vendetta si completa o resta sospesa?”.

“È in carcere, c’è poco da completare”.

“Io parlo della tua vendetta, il tuo riscatto. Transfert”.

“Lo hanno catturato prima che l’ultima vittima fosse immolata. La tredicesima se consideriamo il poliziotto suicida” risponde Carlo, “Aveva un piano: dal prete agli abitanti del quartiere tutti dovevano pagare. Per questo i cadaveri ritrovati dopo sono stati uno choc. Nessuno se lo aspettava. Credo che non ci sia un numero ufficiale”.

“Colpevoli della sua mala sorte?”.

“Sì” ribadisce Carlo smettendo di disegnare e guardandolo, “Perché era quello che le voci gli suggerivano. Lo meritavano per quello che gli avevano fatto. Perché non gli avevano creduto”.

Diego annuisce con la testa e si rimette a sedere sul divano.

“Hai sentito tuo fratello su Nadia?”.

“No”.

“Non ti credo” dice Carlo avvicinandosi, “Ha ammesso di conoscervi, perlomeno lo ha fatto capire. È una squilibrata? Va bene, ma come sapeva del ciondolo e come ha fatto a modificarlo? L’ho incontrata due volte e in entrambe già aveva il mio ciondolo. Come lo ha ottenuto? E che significa che devo continuare a disegnare?”.

“Non è proprio così che stanno le cose”.

La voce di Teo li fa sobbalzare entrambi.

“Da dove diavolo salti fuori?” chiede Carlo sbalordito.

Teo indica la porta aperta alle sue spalle dietro la quale scorge un poliziotto che gli fa un cenno con il capo, poi la richiude.

“Hai scoperto altro?” gli fa Diego.

“Sediamoci” risponde Teo.

“Sto tutto il giorno con il culo appoggiato da qualche parte, ti dispiace venire al dunque?” dice Carlo impaziente.

“Va bene. Prima di tutto la donna, Nadia, non ha detto di conoscerci, ma che gli ricordiamo due fratelli. Ho controllato. Aveva due fratelli, gemelli come noi. Sono morti in un incidente aereo”.

“Continua” aggiunge il fratello.

“Dopo la loro morte pare abbia cominciato ad avere visioni dei suoi defunti fratelli. Ho parlato con lo psichiatra che l’ha tenuta in cura. Parla di un trauma”.

“Uno di quelli che permettono di entrare nei sogni degli altri?” chiede Carlo con ironia.

“No. Quello è dovuto alla tossina nel ciondolo di Norton. Un sistema efficace: la parte posteriore, quella a contatto con il corpo, è porosa e imbevuta di liquido tossico. Non lo senti per via del freddo quando il metallo ti tocca, poi ci fai l’abitudine. Ho fatto analizzare la tossina e pensa che sono dovuto arrivare all’ Interpol per avere dei riscontri”.

“Che cos’è?”.

“Te la farò breve. È stata usata la prima volta dai russi durante la guerra fredda per interrogare molte persone. Poche dosi di questa roba fanno parlare chiunque, ma sono anche in grado di manipolarle.

Esistono versioni aggiornate di questa tossina in uso a diverse organizzazioni. CIA compresa”.

Per un po’ tra loro cala il silenzio. Teo vuole che Carlo arrivi da solo alla conclusione. Suo fratello, già a conoscenza di alcune di quelle informazioni è comunque perplesso. Dal suo punto di vista è assurdo credere che l’amico sia oggetto di un complotto.

“Non ci credo”.

L’affermazione di Carlo spezza l’immobilità dei presenti.

“È quello che ho scoperto”.

“Fammi indovinare” aggiunge Carlo, “E ricordati che ho una buona dose di immaginazione: Nadia mi ha sottratto il ciondolo in un’occasione che non ricordo. Con la tossina mi ha indotto a sognare. Sempre con la tossina ha manipolato i miei ricordi tant’è che non so se abbia veramente sognato. E tutto perché? Perché qualcuno sfruttasse i miei disegni per i suoi intenti criminali e rovinasse la mia carriera.

Sono l’unico a credere che non ha senso?

A meno che non sia stato io a commettere alcuni omicidi e non lo ricordi – vi faccio notare che sono stato segregato per mesi in casa mentre i crimini continuavano – mi spiegate perché drogarmi quando i miei fumetti erano reperibili ovunque?”.

“Nadia era presente alla convention di Vienna. Credo che lavorasse con Norton. Probabile che la storia dei fratelli e il ricovero sia una montatura per celare la sua vera identità.

Il cosiddetto cemetery tour copre diversi omicidi.

Ogni volta che Norton visitava un cimitero – visite clandestine che saprai avvenivano in diverse città americane – nelle stesse località c’erano casi di omicidi. L’Interpol ha trovato le relazioni, ma non il motivo delle morti e per questo teneva sotto controllo Norton.

Ai giornali non è arrivato nulla, sono stati bravi in questo, ma il fumettista è morto prima di essere smascherato”.

“Tutto questo è assurdo” commenta Carlo con scherno.

“Nadia era presente alla convention. Questo è verificabile. Ci sono le immagini della sicurezza che vi mostrano insieme. Probabile che il tuo condizionamento sia cominciato allora. Nemmeno l’Interpol sa cosa succede dopo, ma pensa di poterlo recuperare con l’ipnosi”.

“Voi siete pazzi. Norton un assassino! E io? Cosa credete che sia un’agente dormiente? Uno di quelli che la Russia mandava in America durante la guerra fredda?”.

“Forse avete passato la notte insieme” continua Teo ignorandolo, “E li, lei ti ha portato via il ciondolo”.

“Perché?” chiede Diego, “Serviva a condizionarlo”.

“Forse per non lasciare tracce. È più furba di quanto sembri.

Quando ha detto che tu sei il più riflessivo dei due ho pensato subito che avesse fatto delle indagini sul nostro conto. Cose di questo tipo lo fanno solo certe agenzie”.

Diego annuisce.

“Quello che tu dici di sognare” aggiunge rivolgendosi a Carlo, “Lo hai vissuto. Ci sono stati party a sostegno della convention. Questo sei tu”.

Teo gli mostra sul telefonino le immagini di una festa in un castello in cui si vede chiaramente Cerbero parlare con una donna, Nadia.

“Che cazzo…”.

“Niente sogni ricorrenti come puoi vedere, ma frammenti di ricordi”.

“Ma a che serviva il condizionamento?” insiste Diego.

“Hai dimenticato le ristampe dei fumetti?”.

“Cosa?” dice Carlo.

“Certo, ora capisco” afferma Diego.

“Quando ci siamo visti la prima volta ti ho portato dei fumetti, ricordi?” chiede Teo rivolgendosi a Carlo.

“Si”.

“Erano ristampe. Non l’ho presa in considerazione come informazione, non c’era motivo. Ma erano fumetti ristampati dopo la convention. Quando sei tornato da Vienna hai fatto ristampare tutti i tuoi albi”.

“Che diavolo stai dicendo? Io non ricordo nulla del genere!”.

“Questo è il punto. Quando abbiamo capito che c’era stata una manipolazione della tua psiche mi è venuta la curiosità di confrontare i fumetti originali e quelli ristampati. Gli omicidi che simulano le morti dei tuoi fumetti sono avvenuti temporalmente proprio dopo le ristampe. Era un’intuizione di cui non ho potuto fare a meno di informare anche l’Interpol. Ormai l’inchiesta è diventata unica. Rischio solo a parlartene, ma per come la vedo io tu sei vittima di un piano ben escogitato ed è giusto che sappia tutto”.

Carlo scuote la testa incredulo.

“I fumetti ristampati hanno poche differenze con gli originali. Nelle ristampe le scene con le vittime hanno particolari aggiunti”.

Teo gli mostra altre due foto sul suo cellulare. Sono vittime di omicidi disegnate nello stesso fumetto.

“Vedi le differenze?”.

Ancora frastornato Carlo porta gli occhi alle foto senza attenzione.

“Le differenze sono nell’indirizzo della via che si legge sul muro dietro, le vedi?” insiste il poliziotto.

“Sì” risponde l’altro più presente.

“Questa la foto dell’omicidio reale corrispondente”.

Carlo si porta una mano alla bocca soffocando un grido. La crudezza dell’immagine della vera scena del crimine è irrilevante rispetto allo sgomento che prova vedendo sul suo disegno ritratto in secondo piano l’indirizzo della strada.

“Ho dato all’assassino l’indirizzo della vittima”.

“Ci sono molte altre cose che non ti mostrerò. Ma è così. Ti hanno detto cosa aggiungere e lo hai fatto”.

Carlo si mette a sedere in silenzio.

“Chi sono le vittime?” chiede Diego, “Se sono state scelte avranno legami. Questo complotto criminoso deve pur aver uno scopo”.

“Non lo sappiamo”.

“Non è possibile” mormora Carlo.

“Sei stato manipolato” replica Diego, “Tu non ne hai colpa”.

“Questo lo dici tu”.

“È la verità” insiste l’amico sedendosi vicino, “Sarà solo un’altra dura battaglia da affrontare, ma ci riusciremo, ti do la mia parola”.

Carlo sorride senza convinzione.

“Perché coinvolgerlo direttamente?” chiede Diego al fratello, “Si può ordinare un omicidio in tanti modi, perché usare i suoi fumetti e lui direttamente? Non credi che ci sia qualcosa di personale?”.

Teo annuisce.

“È possibile, ma non lo capisco. Penalmente non reggerebbe un accusa contro di lui come complice degli omicidi. Al momento l’Interpol non vaglia questa ipotesi. Sei tu l’avvocato, dimmi quanto sia fattibile”.

“Per niente. La tossina e il condizionamento bastano a smontare qualsiasi accusa diretta”.

“Se le vittime sono state scelte per un motivo e il suo coinvolgimento è casuale allora siamo di fronte a una mente fredda e calcolatrice”.

“Un folle piuttosto”.

“Chi?” dice Carlo all’improvviso, “Ce ne sono tanti. Associazioni varie, cittadini premurosi, intellettuali. Sei il mio avvocato, da quanta di questa gente mi hai difeso?”.

“L’uso della tossina è qualcosa di complesso. Nessuno di quelli che hai citato è andato oltre le denunce”.

“Hai dimenticato le minacce?”.

“Carlo non ha tutti i torti” dice Diego rivolgendosi al fratello, “Potreste indagare tra i più esagitati dei suoi detrattori e vedere se qualcuno è così folle da ingaggiare dei professionisti per rovinarlo”.

“Questo se si accertasse che Norton e Nadia siano quelli che pensiamo. Assassini su commissione” replica Teo, “Ma a questo punto perché non ingaggiarli per ucciderlo? Perché rovinargli la reputazione e basta? Questa è gente che non si fa pagare poco. Se hai il denaro per una macchinazione del genere…”.

Teo si interrompe e alza le spalle.

“Glielo hai chiesto?”.

Teo non risponde alla domanda del fratello.

Diego lo guarda per qualche attimo, poi annuisce.

“È uscita, vero? Non l’avete più in custodia”.

“Che cosa?” dice Carlo stizzito, “L’avete lasciata andare?”.

“Il giudice non ha ritenuto necessario trattenerla”.

“Ma l’avrete messa sotto sorveglianza” insiste Carlo.

Teo scuote la testa.

“Cazzo! L’unica persona che può dirci che diavolo sta succedendo la lasci scappare così?”.

“Ho mandato degli uomini a casa sua. Di più non posso”.

“Se non tornasse a casa?”.

Teo fissa Carlo senza rispondere.

“Mi hai detto che ogni fumetto è un transfert, giusto?” chiede Diego scuotendo Carlo.

“E che centra adesso?”.

“Teo ha ragione, nessuno spenderebbe milioni per non farti ammazzare da assassini professionisti. È da folli. Concentriamo su questo adesso.

L’unico pazzo che conosci è l’uomo che ti ha consegnato i suoi disegni prima che diventasse uno spietato serial killer”.

Carlo lo fissa sbalordito, poi sorride amaramente.

“Credevo fossi io il cantastorie. Come fa un uomo in carcere a organizzare una cosa del genere. E perché io? Non ho nulla contro di lui, né lui con me”.

“Hai collaborato con la polizia per la sua incriminazione”.

“Ho messo a disposizione quei disegni, che potevo fare?” replica stizzito il fumettista, “Sono anche andato in carcere per farlo parlare come mi avevano chiesto, ma era già lì. C’erano le prove, lo avevano arrestato. La polizia aveva solo bisogno di capire perché lo avesse fatto. Non rilasciava dichiarazioni e credevano che il nostro legame lo avrebbe portato a confessare qualcosa.

Le hai sentite le registrazioni, no? Non l’ho mica interrogato, accusato o condannato. Sai come la penso, l’ho scritto nel libro.

Io non lo giustifico, ma lo capisco”.

“In verità senza quei disegni avremmo avuto poco per incastrarlo” dice Teo gelando l’atmosfera.

“Ma che dici?”.

“Ho studiato quel caso quando mi sono interessato a te”.

“Allora?” chiede Carlo con tono di sfida.

“La polizia aveva prove indiziarie. Niente dna, niente impronte, qualche vaga testimonianza”.

“Stronzate. Il pm che si occupò delle indagini mi disse che avevano tutto per incastrarlo. Sarebbe marcito in galera, ma aveva bisogno delle motivazioni. Con quelle si poteva almeno garantirgli una via d’uscita, una sorta di infermità mentale e dargli un trattamento decoroso.

Non era un giustizialista e lo apprezzai per questo”.

“Perché sapeva del tuo rapporto con lui”.

“Di che parli?”

“Dal fascicolo del pm si capisce chiaramente che nei suoi confronti tu provai una sorta di empatia. Avevate storie personali simili, lo avevi conosciuto e avevi legato con lui. Contavano sul fatto che con te si sarebbe aperto”.

Carlo scuote la testa con vigore.

“La polizia non sapeva degli album. Quando hai deciso di collaborare e li hai consegnati spontaneamente si è aperto un varco”.

“No”.

“Hanno rischiato, ma è andata bene”.

Carlo abbassa la testa senza replicare.

Lo hanno davvero usato? Cerca di ricordare.

Ricorda.

Quando ha visto il volto in tv del serial killer di cui tutti parlavano non ci aveva creduto. Era lui, il vecchio compagno di liceo.

O gli somigliava.

Era più vecchio, ma quel volto non lo aveva dimenticato.

Bloodshed lo pseudonimo con cui firmava i disegni.

Nessuno gli aveva chiesto di collaborare alle indagini e perché dovevano? Aveva ripreso quindi i vecchi album in modo spontaneo e li aveva sfogliati uno ad uno. Poi…

“Cosa hai fatto quando hai saputo di lui?” chiede Diego.

Nulla, finché il pm non lo aveva convocato in Procura.

 

 

Il silenzio che avvolge l’appartamento è interrotto solo dalle urla dei manifestanti che sono ritornati irremovibili a piantonare l’ingresso del palazzo. Ormai è buio e il chiarore delle fiaccole accese arriva nella cucina con un effetto sinistro.

Teo è uscito con la promessa di scoprire maggiori informazioni sullo strano trio formato da un famoso fumettista deceduto, un serial killer segregato in carcere e una donna misteriosa. Non tutto ha una coerenza logica, ma il poliziotto è convinto che sia l’unica pista su cui insistere.

Prima di uscire ha accennato anche all’eventualità che l’Interpol gli avesse tenuto nascosta qualche informazione per il suo legame con Diego, legale dell’indagato. Pur non essendoci un’inchiesta formale, Carlo era oggetto di attenzioni e il poliziotto ha intenzione di capire fino a che punto fossero arrivate.

L’avvocato è rimasto nell’appartamento, anche lui perso in contorte elucubrazioni mentali per capire cosa stesse capitando al suo amico. Sia lui che il fratello erano certi di un complotto ai danni di Carlo, ma come questo si stesse sviluppando era da chiarire.

“Io non escluderei nemmeno che Norton sia stato manipolato” dice, “Magari consegnarti il ciondolo faceva parte del piano. Ma quale?”.

La domanda, più una riflessione a voce alta, incontra l’indifferenza di Carlo. Seduto al tavolo della cucina il fumettista è concentrato sui cori ritmici dei manifestanti sotto casa. Sono la loro colonna sonora.

Quando Diego comincia a camminare nervoso per la casa lui si volta nella sua direzione. Non si aspetta una soluzione. Il suo viso tradisce la resa totale. Ogni nuova rivelazione, ogni possibile ipotesi, si scontra con il senso pratico. Se il resoconto di Teo è inattaccabile, evidente nelle prove mostrategli, fatica ad accettare l’idea di un complotto.

La sensazione però che i due fratelli lo stessero accompagnando lentamente sulla strada da loro tracciata, una strada su cui solo loro gli avrebbero fornito le soluzioni si faceva spazio poco per poco.

Doveva farsi convincere?

“Nadia ti ha manipolato attraverso i sogni” afferma Diego, “C’è una forza che ha messo in comunicazione te e la donna attraverso i sogni” continua l’amico avvocato attirando completamente la sua attenzione, “La tua naturale e straordinaria capacità di disegnare fumetti rende il mondo che inventi reale solo nella dimensione onirica. Lì nascono. Nadia vi è entrata perché anche lei è in grado di entrare nei sogni”.

“Per via della tossina” sussurra Carlo.

“L’interpretazione dei sogni” continua Diego sempre più preso dal suo ragionamento, “Nasce da presupposti scientifici e per questo motivo qualsiasi altro modo è visto come superstizione. Non convinci nessuno con questi argomenti a meno di non essere un vero manipolatore.

Non è solo crederci, ma metterlo in pratica, constatarlo con l’evidenza. Se qualche poliziotto si serve di un medium per condurre le proprie indagini è perché questi riesce a convincerlo. Manipolarlo”.

“C’è chi pensa che certe cose siano invece reali”.

“Infatti. Dov’è la differenza? Che siano vere o meno, la manipolazione funziona se ci sono i presupposti”.

“È il tuo modo scientifico per dire che ho qualche rotella fuori posto?”.

“No. Pensa piuttosto cosa ti rende vulnerabile, perché è stato possibile farti agire in un determinato modo”.

“Mi piace disegnare. Faccio disegni di un certo tipo. Che vulnerabilità ci sarebbe in questo?”.

“Le risposte sono in Bloodshed” replica Diego, “Come finisce?”.

“Ancora con questa storia?”.

“Bloodshed non può uccidere il prete che lo ha molestato e si vendica con i suoi parrocchiani” replica Diego, “L’uomo muore d’infarto prima di essere ucciso, giusto? La serie di delitti successivi ricade sul quartiere di adozione. Il tuo libro è un transfert per Nadia quanto per te affinché la vendetta/giustizia sia compiuta per ciò che avete subito”.

“Aspetta un attimo” dice Carlo sfregando forte una mano sulla fronte.

“Non ho prove a sostegno di questo” insiste Diego senza dargli tregua, “Ma se Teo provasse che Nadia abbia manipolato Norton, te e Bloodshed…Cazzo, ma qual è il suo vero nome? Usiamo sempre lo pseudonimo. Io non lo ricordo, tu lo sai, vero?”.

Carlo continua a massaggiarsi la fronte senza rispondere.

“Va bene, non importa. Nadia avrà al massimo una cinquantina d’anni, giusto? Sembra anche più giovane, ma credo di andarci vicino.

Con te ha agito nell’ultimo anno, mentre i fatti di Bloodshed risalgano a poco oltre lo scorso anno, dunque avrebbe potuto incontrarlo.

Bisognerebbe solo provarlo.

Che frequentasse invece Norton lo abbiamo visto nei filmati che ci ha mostrato Teo. Anche in questo caso, se si dimostra che il fumettista è stato manipolato dalla donna avremmo un quadro più chiaro.

Resterebbe insomma da capire perché questa Nadia agisca.

Tre fumettisti, anzi, no, tre disegnatori di talento manipolati da una donna per uccidere determinate persone”.

Quando Diego finisce di parlare fermandosi in mezzo alla cucina nota lo sguardo attento di Carlo su di lui. L’euforia provata nel momento del ragionamento, dal suo punto di vista coerente abbastanza da avvicinarsi alla verità dei fatti, si scontra con la freddezza degli occhi dell’amico. Da confuso e assente, Carlo è passato a uno stato vigile.

“Che c’è?”.

“Credi che Nadia sia una serial killer?”.

“La storia ci insegna che non esistono serial killer di sesso femminile” risponde prontamente Diego, “Ma c’è sempre una prima volta”.

“Non ho mai sentito di serial killer che si spostano per il mondo. Ho studiato anche io, sai? Faccio delle ricerche per rendere i personaggi più reali. Mi informo prima di disegnare”.

“Quindi?”.

“Il cemetery tour di Norton è stato fatto America. Se quello che ha scoperto Teo è vero, cioè che a ogni visita in un cimitero di Norton corrisponde uno o più omicidi abbiamo quanti? Cinquanta, cento morti ammazzati solo negli stati americani?”.

“In effetti”.

“Bloodshed agiva in Italia”.

“Va bene, ho capito”.

“No invece. Se parli di condizionamento perché non ipotizzare che i condizionati siano loro stessi i carnefici?”.

“Non regge. Lo hai detto anche tu prima. Mentre eri recluso sono stati trovati altri morti riconducibili ai tuoi disegni. Questo ti esclude. E il ragionamento esclude dunque anche gli altri disegnatori”.

“Quindi nel nostro sistema carcerario è finito un finto serial killer?”.

“Perché no? La giustizia ha mostrato tante volte il suo volto peggiore”.

“Bene” afferma Carlo alzando le braccia, “Donne serial killer non esistono, chi ammazza allora tutte queste persone sfruttando i disegni di tre sfigati? Suo marito? Suo figlio? Un amante? Suo fratello? Un impiegato? Nadia deve avere molte risorse economiche per potersi permettere tutte queste commissioni. Ma certo! È titolare di un agenzia di killer professionisti! Ecco spiegata la tossina! Tu mandi una mail a qualche indirizzo criptato, magari un messaggio in codice e…che c’è? Uso troppo la fantasia?”.

“Hai detto figlio”.

“Sto dicendo un sacco di idiozie. Sto facendo ipotesi strampalate senza uno straccio di prova”.

“Invece una c’è. Prima Nadia ha detto qualcosa su suo figlio”.

“Che?”.

Diego si siede portandosi le mani in faccia per ricordare.

“Prima, ricordi? Quando ha accennato al fatto che io e Teo gli ricordassimo due suoi fratelli”.

Carlo abbassa la testa riflettendo.

Mio figlio è una delle vittime. Devi continuare a disegnare per lui” .

“Bravo!” esclama Diego alzandosi, “Hai una memoria eccezionale”.

L’altro scuote tuttavia la testa.

“Suo figlio? Manda il figlio ad ammazzare la gente? E perché? Vittima di cosa, poi?”.

 

Raffaele Scotti

 

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