Aurora: Resa Dei Conti A Beverly Hills (Cap. 7)

CAPITOLO 7 – RESA DEI CONTI A BEVERLY HILLS

La casa somiglia a quelle di certi film, dove ci sono enormi spazi pieni di ogni confort e accessori. Una casa per gente ricca. Sfruttata per feste private o mondane, sembra una di quelle in cui dare sfogo a ipocriti intenti umanitari o sociali per non vergognarsi della propria opulenza. Manca però il mare sullo sfondo, la bella ragazza in bikini che passeggia sul bordo della piscina, grossi cani e brutte guardie del corpo a delimitare il territorio con le pistole.

L’ex proprietario del 90210 Beverly Hills, Litte Italy, non si vergognava dello sfoggio di ricchezza, perché lo aveva ottenuto per merito. Lo credeva e se lo voleva godere. Non gli servivano necessariamente feste per ostentare il suo potere e la sua parola bastava per far eseguire i suoi ordini. Il denaro che possedeva gli permetteva di ottenere i servigi che desiderava. Una casa come la sua, in un quartiere degradato, era molto più di un pugno a un occhio, ma quando si era persuasivi, anche quello risultava possibile. Era possibile trapiantare, insomma, al centro dell’isola di Manhattan una abitazione che andava bene per lo stato della Florida, il suo sole e il suo mare, e far rinominare il civico in quello di un famoso telefilm degli anni 90.

“Le piaceva la serie?” gli aveva chiesto una volta l’agente immobiliare che si era interessato della ristrutturazione.

“Mai avuto il tempo di vederla” aveva riposto lui.

Poteva farlo e lo aveva fatto. Ora che era morto, lo faceva per lui il Pipitone.

Vivere come un malavitoso a New York aveva i suoi vantaggi economici, ma questo tipo di vita ha breve durata, per questo, coloro che la scelgono, vivono intensamente ciò che possiedono fino a che qualcuno, magari il socio in affari, non gli fa un buco in fronte e prende il suo posto. All’ex proprietario della casa era andata anche peggio.

A lui spettava una sorte diversa, ne era convinto quando ancora respirava, ma aveva dovuto ricredersi come Cesare davanti alla congiura del Senato Romano in cui prese parte anche il figlio. Sopravvivere, alla fine, poteva essere anche una questione di culo, perché magari una delle coltellate che avrebbero dovuto ucciderti non lo fa. Il nuovo proprietario del civico 90210 Beverly Hills, Little Italy, di culo ne aveva avuto sin da quando il suo datore di lavoro era stato freddato da sei ladri che lavoravano per lui, per non parlare poi di quanto ne aveva sfruttato per uscire dalla tomba in cui era stato seppellito vivo. Di fronte a tanta provvida benevolenza, la gente comune, ignara dei retroscena, reagisce con disappunto perché ai loro occhi c’è solo un nuovo Cesare che prende il posto del vecchio dittatore. Tra gli invidiosi, in generale, si possono annoverare anche i ladri, che si limitano a desiderare ciò che non possiedono e credono che rubandolo significhi goderselo. Nessuno però ha provato a entrare di soppiatto al 90210 Beverly Hills, Little Italy. Chi lo ha solo immaginato, ci è rimasto secco.

Parcheggiando la monovolume a qualche metro di distanza dall’ingresso, mirano in silenzio la sontuosa abitazione, i sei uomini in abito scuro non hanno di questi pensieri.

 

 

 

“Che si fa?” chiede Mr.P, “Bussiamo ed entriamo?”.

“Abbiamo un piano” borbotta il Tetto.

“E da quando?” fa l’altro, “Non mi sembra di averne discusso con nessuno”.

“Il Tetto ha ragione” aggiunge perplesso Papà Nino, “Facciamo come stabilito”.

“Ottimo!” replica Mr.P, “Mi piace. Allora, qual è il piano B?”.

“Non c’è nessun piano B” risponde il Tetto.

“Ragazzi” fa il Pastore, “Non vorrei fare quello che rompe i coglioni, ma credo che Mr.P abbia ragione. Abbiamo preso le armi. Vero. Adesso siamo qui. Vero. Ma non abbiamo stabilito cosa fare una volta dentro”.

“Ecco” aggiunge Mr.P, “Io vorrei sentirlo questo cazzo di piano B!”.

“Entriamo” dice il Nonno e scende dall’automobile.

“Questo è il piano” fa il Mast seguendolo.

Mr.P e il Pastore si guardano per un po’, quindi seguono gli altri che si avviano all’ingresso dell’abitazione.

Papà Nino è l’ultimo a scendere e prima di raggiungerli si volta verso Gaetano che è rimasto nel taxi.

“Tu aspetti qua, vero?”.

Lui abbassa la testa senza fiatare assentendo.

“Quanto credi ci vorrà?” chiede il Mast che gli è vicino.

“Meno di quando mangi” risponde con un mezzo sorriso l’altro.

“Bene” fa il primo, “Vorrà dire che non mi innervosirò per la fame. Ho giusto un languorino”.

“Tu hai sempre un languorino”.

“Non è vero, solo quando ce l’ho!”.

Papà Nino si volta verso di lui e scuote la testa.

Quando sono tutti davanti al citofono, prima che il Nonno prema il pulsante per annunciare il loro arrivo, il cancello si apre facendoli entrare.

“Ci hanno visti arrivare” borbotta il Tetto e Mr.P gli indica con un cenno della testa le telecamere sul cancello.

Attraversano un grosso viale alberato e un giardino ben curato, quindi arrivano a un portico colonnato sempre seguiti dagli occhi vigili delle telecamere poste lungo il percorso.

“Mi sento osservato” dice il Pastore, poi si mette a ridere.

Sull’uscio d’ingresso, un uomo di mezza età li attende.

“Prego” dice facendogli spazio, “Entrate” e li invita a seguirlo.

“Grazie Alfred, il Signor Wayne è in casa?” gli chiede il Pastore cedendo a nuove risa.

“La pianti di fare il coglione?” lo ammonisce Mr.P, “Sembri Dorothy nel Mondo di Oz!”.

“Io non sono Dorothy. Tu sarai Dorothy. Io al limite posso fare il Leone!”.

“Il Leone Coglione?” chiede il Mast.

“Vaffanculo, va bene?”.

La casa è enorme. Mentre discutono, attraversano una grande sala che li porta dopo lunghi corridoi in un’ulteriore enorme spazio. Anche questo, come quelli appena attraversati, è spoglio di arredo.

“Guarda che è inutile che ti scaldi” fa il Mast, “Il mio alla fine era un complimento!”.

“Oh” replica il Pastore, “Grazie tante allora!”.

“Lo vedi?” dice Mr.P, “Non capisci! Ha ragione lui! Nella favola il Leone si sente un coglione, un cacasotto insomma, e cerca il suo cuore dal Mago trovandolo”.

“Non sono affatto un cacasotto!” ribatte spazientito il Pastore.

Mentre proseguono, nessuno di loro, pur nella discussione, nota guardie armate o particolari sospetti. E ciò li innervosisce. Solo l’uomo che li precede sembra tradire impazienza e sperano che sia per la messa in scena.

“Non è questo il punto!” fa Mr.P, “Lui crede di essere un cacasotto, ma è un leone, non un coglione, capisci?”.

“Siamo arrivati” dice il Tetto interrompendoli.

Quando si voltano al cospetto del loro ospite, la sorpresa non è poca. Il primo a sgranare gli occhi per lo stupore è il Nonno, ma anche sul viso degli altri sembra esserci la convinzione che l’uomo davanti dovesse essere morto.

“Tu?” fa il Nonno con un filo di voce.

Mentre l’uomo che li aveva accompagnati esce dalla sala, il Pipitone li saluta sorridendo.

“Sorpresa” fa e ride divertito.

Si trova al centro della sala e il suo viso da schiaffi si prende gioco di loro come tante volte in passato, quando lo avevano visto attraverso i video che spediva per commissionare i furti delle statuette. In quei video non parlava per conto del Capo, il padre di Papà Nino, che avevano scoperto solo in seguito essere il vero reggente della oscura e misteriosa Organizzazione per cui non sapevano nemmeno di lavorare e che adesso, forse, aveva un nuovo timoniere.

Aurora è davanti a lui. Tenuta per le spalle come un figlio al cospetto di invitati, vestita di punto e per nulla imbavagliata o legata, sembra una comparsa, piuttosto che una sequestrata.

Il Nonno la fissa senza ottenere una reazione.

“Che le hai fatto?” mormora e avanza.

“Fermo” dice il Mast trattenendolo per un braccio e gli mostra il pavimento.

Una serie di sensori emana piccoli bagliori all’estremità di alcune mattonelle, come se dal pavimento stesso uscissero sottili raggi luminosi a formare una rete invisibile che li divide dall’altra porzione della sala.

“Che sarebbe?” chiede il Nonno.

Il Mast si abbassa sulle ginocchia e dà un’occhiata intorno.

La sala è quasi spoglia tranne per qualche mobile messo a caso in un angolo e uno specchio al muro.

“Ottima vista, complimenti” fa il Pipitone e si mette a ridere scuotendo per un attimo il volto impassibile di Aurora.

Il Tetto guarda la ragazzina e coglie in lei disagio e paura. Ha anche l’impressione che voglia comunicargli qualcosa. Guardandola più a lungo ne ha la certezza.

“Sta bene, non ti muovere” dice Papà Nino al Nonno facendosi più avanti e mettendosi anche lui sulle ginocchia, “Che abbiamo?” chiede al Mast.

Dal basso, la maglia di rete luminosa che li divide dal Pipitone è più percettibile, ma ancora poco visibile.

“Sensori” sussurra il Mast, “Forse trappole, bombe, non saprei dirlo con certezza”.

“Inutile dirvi che se vi avvicinate ci restate secchi” fa il Pipitone attirando la loro attenzione e continua a ridere. Ha ancora le mani sulle spalle di Aurora e sembra farsene scudo.

“E se ti buco la testa?” dice il Nonno sfoderando la pistola.

“Pessima idea” ribatte l’altro non smettendo di ridere.

Mr.P, che chiude il gruppo, prova ad aprire l’unica porta da cui sono entrati.

“Bloccata” mormora al Pastore vicino, “In campana” fa poi agli altri che sfoderano le armi guardandosi intorno.

“Tranquilli” esclama il Pipitone vedendoli agitarsi e armarsi tutti meno che il Tetto, “Non c’è nessuno a parte noi e Sergio, il mio tutto fare, chiamiamolo così…” e continua a ridere.

“Che cazzo si ride questo idiota” sussurra il Pastore.

“Ho fatto chiudere la porta solo per avere la vostra totale attenzione” aggiunge il Pipitone con un sorriso.

“Lasciala andare altrimenti ti ammazzo!” urla il Nonno stringendo nervosamente la sua pistola.

“Se spari attiverai i sensori” mormora il Mast.

“E che cazzo succede poi?” gli chiede tra i denti Papà Nino.

“Non ne ho la più pallida idea, ma sembra che quel figlio di puttana stia lì ad aspettarlo”.

Il Pipitone li osserva in silenzio e sorride. Aurora si muove appena e sembra dirgli di no con la testa. Il Tetto è l’unico ad accorgersene perché è da quando è entrato nella sala che ha gli occhi puntati su di lei. Non può essersi sbagliato, la ragazzina cerca di comunicare con loro, ma qualcosa glielo impedisce, anche se non è imbavagliata. Sta cercando di avvisarli di un pericolo, ne è sicuro, ma non lo può fare ad alta voce.

“Dai piccola” sussurra a mezza voce, “Parlami”.

Gli altri cinque, nel frattempo, si guardano intorno alla ricerca di trappole e congegni, qualunque cosa innescasse quella maglia sottile di raggi, non trovando nulla.

“Avete quello che vi ho chiesto?” chiede il Pipitone.

“Come hai fatto a uscire, come hai fatto a sopravvivere?” fa il Nonno.

Il Pipitone si scurisce in volto e stringe di più le spalle di Aurora che si lamenta per il dolore.

“Sono qui e sono vivo, questo è ciò che conta” risponde con un filo di voce, “Ma se credi che sia un fantasma puoi sempre sparare e verificarlo di persona”.

Il Nonno lo fissa con rabbia, ma non cede alla provocazione e guarda di nuovo Aurora senza cogliere in lei nessun cenno di emozione. Deve prendere tempo. Qualsiasi diavoleria l’uomo abbia messo in atto, il Nonno capisce adesso più che mai di non lasciarsi sopraffare dalle emozioni.

“Tutto bene, piccola?” chiede e lei fa di sì con la testa.

“Tranquillo” dice il Pipitone abbassandosi e accarezzandole una guancia, “Sta bene la nostra principessa, vero?”.

Aurora si gira verso di lui e lo fissa senza espressione, poi si volta di nuovo verso di loro e sembra in procinto di parlare, ma abbassa invece leggermente la testa per rialzarla subito dopo.

“Perché si comporta in quel modo?” mormora Papà Nino.

“Allora?” fa il Pipitone rialzandosi e rimettendosi alle spalle di Aurora, “Dove sono le statuette?”.

Il Tetto mette una mano al collo e gli mostra il contenuto di un sacchetto che aveva appeso a una catenella.

“Ne abbiamo una ciascuno, le altre quando liberi la ragazzina”.

“Non era quello che vi avevo detto!”.

“Chi ci assicura che non la lascerai una volta ottenute le statuette?” chiede Papà Nino.

“Nessuno!” grida ancora lui, “Nessuno ve lo assicura! E se non le avete allora avete commesso un grave errore!”.

“Aspetta!” fa il Pastore, “Calma. Sono in macchina. Fuori. Se dici al tuo uomo di aprire la porta te le vado a prendere”.

Il Pipitone sembra riflettere, “Volete fregarmi? Cercate un modo per fregarmi figli di puttana?”.

“Nessuno ti frega” dice Papà Nino, “È solo un modo per tutelarci. Lascia andare Aurora e le statuette saranno tue”.

“Tu qui non dai ordini” sibila il Pipitone, “Ho io il controllo, chiaro?”.

“Apri la porta allora” insiste Papà Nino, “Lascia che il mio amico te le vada a prendere”.

Per un po’ non succede nulla, poi il Pipitone sorride e sembra avere riacquistato la calma.

“Va bene” dice e nello stesso momento la porta dietro si apre, “Cinque minuti” aggiunge e il suo sorriso si allarga.

 

 

 

Prima che i sei arrivassero, Aurora aveva visto bene come l’uomo che l’aveva rapita avesse preparato la trappola. Il congegno si trova dietro lo specchio della sala dove poi li avrebbero attesi e l’uomo non ha fatto nulla per nasconderlo. In un primo momento aveva visto una sottile maglia di luce irradiarsi dal pavimento, quindi era sparita lasciando quel breve luccichio che solo il Mast aveva notato. I sensori si trovano nelle intersezioni di alcune mattonelle del pavimento e la poca luce della sala li confonde facilmente con dei riverberi.

“Quando entreranno” le aveva detto il Pipitone, “Saranno fatti a pezzi come nei cartoni animati. Tu li vedi i cartoni, non è vero piccolina?”.

Mentre l’uomo preparava la trappola, l’altro, quello che lui aveva chiamato Sergio, la teneva sottocchio perché non scappasse, anche se le era chiaro sin da quando aveva messo piede in casa che vie di fughe non ne aveva. Non sapeva innanzitutto dove si trovava, né chi fossero gli uomini che l’avevano rapita. L’unica cosa che ricordava era che si era risvegliata in una camera da letto e che vi ci era stata chiusa dentro. Le precauzioni prese verso una sua possibile fuga erano inutili e ben presto si era resa conto che i rapitori non erano affatto preoccupati che scappasse. Si sentiva spossata in quei momenti, priva di forze e aveva pensato subito che l’avessero drogata. A confermarlo c’erano alcuni fori di punture sul braccio destro che non aveva prima di quella disavventura. Distesa sul letto della sua prigione, Aurora aveva ricordato solo un’altra situazione simile nella sua vita, quando ancora non aveva conosciuto gli uomini che l’avrebbero poi salvata e accudita. Forse era quello il suo destino. Qualcuno l’aveva rapita e drogata anche la prima volta fino a farle dimenticare il proprio passato. Nella disperazione dei suoi quasi dieci anni se ne era convinta.

Aveva anche capito subito quanto fosse cattivo l’uomo che l’aveva rapita. Lo aveva sentito dalle parole, il tono. Non credeva nemmeno che mostrarle il meccanismo della trappola fosse stata una superficialità. Era una ragazzina, ma se cercavano di prenderla in giro lo capiva subito. Glielo avevano insegnato i suoi padri. Vivere con loro era stato istruttivo da quel punto di vista. Aveva imparato tante cose, come, per esempio, fidarsi delle persone.

Non ricordava nulla del suo passato, come se la sua vita fosse iniziata nel momento in cui era stata tratta in salvo. Aveva smesso di pensarci. Conosceva ancora il suo nome e conosceva bene gli uomini che l’amavano, questo contava ora per lei. Anche lei li amava, ognuno diversamente, anche se al Nonno era particolarmente legata. Forse perché era stato lui a tirarla giù dalla gabbia dove era stata chiusa quel giorno, forse perché era stato lui a portarla fuori tenendola tra le sue braccia forti. Ed è pensando proprio a lui che aveva trattenuto le lacrime e si era fatta forza rinchiusa nella sua prigionia. Non poteva permettersi di cedere, non ora che avevano loro bisogno di lei.

Doveva capire, doveva riflette sul perché l’uomo che l’aveva rapita si fosse tanto prodigato nel mostrarle il suo piano.

“Quando entrano, tu chiudi la porta e li lasci dentro” aveva detto al suo tutto fare, “Si troveranno tra i laser e la porta, saranno in trappola e non potranno fare altro oltre quello che gli dirò di fare”.

Quello che gli dirà di fare. Forse è quella la chiave, aveva pensato Aurora in quel momento, perché se aveva voluto che sentisse, se non aveva fatto nulla per tenerla lontana, forse si aspettava che li avvisasse.

O semplicemente l’aveva sottovalutata perché era solo una ragazzina.

Doveva aspettare. Aurora aveva preso del tempo anche in quella lunga attesa, quando era stata rimessa nella cameretta dove era stata tenuta segregata negli ultimi giorni. Dalla finestra poteva mirare l’enorme giardino sotto di lei e pur potendola aprire, sapeva benissimo che l’altezza le impediva qualsiasi tentativo di fuga. Anche quello, dunque, era stato calcolato. Il suo carceriere era una persona troppo sicura e scrupolosa da potersi permettere delle sbavature. Come rivelarle i meccanismi delle trappole preparate.

“Rifletti” aveva detto a se stessa riportando alla mente quello che aveva visto poco prima di essere rinchiusa.

Ci doveva essere, l’inganno. Lo sentiva.

 

 

 

Il Pastore esce dalla sala e si avvia all’ingresso seguito da Sergio.

“Stammi dietro, mi raccomando, Alfred” fa all’uomo senza voltarsi pensando a come agire in quei cinque minuti seguendo il piano che avevano stabilito al Concessionario. Per la prima volta agivano d’istinto, anche se ormai erano tutti convinti che le intuizioni del Tetto dovevano essere seguite. Lui era l’unico a vederci chiaro in quella faccenda, perché la sua determinazione nasceva dai sogni che lo avevano tormentato negli ultimi mesi. I suoi sogni su Aurora.

Quando erano andati nell’appartamento dove Gaetano aveva procurato loro le armi, Mr.P aveva chiesto sul da farsi senza ricevere risposta. Lo aveva fatto a voce alta, perché Gaetano pensasse ancora di godere di fiducia.

“Dobbiamo agire sul momento” aveva risposto il Tetto poco dopo, “Non sappiamo cosa ci attende”.

“Una trappola” aveva sentenziato il Mast, “Cosa altrimenti?”.

“Però lo sappiamo” aveva aggiunto il Tetto scrollando le spalle, “Ce la caveremo anche stavolta”.

Papà Nino aveva zittito Mr. P. che aveva finto di replicare e a quel punto, se la commedia era stata recitata bene, Gaetano avrebbe avuto la certezza che i sei si sarebbero fregati con le loro stesse mani.

Il Tetto aveva cominciato a sospettare di lui quando avevano rinvenuto il fax nella vetrinetta con le quattro statuette.

Se Gaetano aveva accompagnato il loro uomo a Central Park, quel fax chi lo aveva messo in bella mostra se non lui o l’uomo stesso che li aveva incontrati? Era improbabile che la figura oscura che si celava dietro quei burattini si fosse premunito di lasciarlo senza prendere le statuette, perché avrebbe comunque ottenuto una loro visita per Aurora.

Una messa in scena, dunque.

“Che ha per la testa questo tizio?” aveva chiesto Papà Nino dopo che il Tetto aveva enunciato la sua convinzione.

“Ricorda davvero tuo padre, non è vero?” gli aveva detto l’altro senza ironia e lui non aveva risposto.

Quel modo di agire era davvero strano, ambiguo, e il Pastore, ricordando la loro piccola riunione di qualche ora prima, riflette proprio su come poter raggirare una mente così contorta.

“Gaetano sarà andato a fare qualche bisognino” dice raggiungendo la monovolume e non stupendosi di trovarla vuota. Cerca d’ingannare il suo accompagnatore con un tono rilassato. L’automobile è aperta e nel bagagliaio non trova il sacchetto con le statuette, pur fingendo di cercarle.

“Le hai trovate?” chiede l’uomo alle sue spalle.

“Credo di sì” risponde il Pastore e si volta rapidamente colpendolo alla faccia.

L’uomo, che aveva armato una pistola in un mortale silenzio, si ritrova disteso e disarmato in pochi secondi.

“Porca puttana!” esclama il Pastore vedendo la pistola. Subito dopo gli salta addosso con entrambi i piedi sulla testa spezzandogli di netto il collo. “Pezzo di merda. Per poco non mi fregavi!”.

 

L’attesa nella sala è snervante e silenziosa. I cinque rimasti guardano spesso la porta chiusa dietro di loro e il Pipitone dall’altro alto aspettandosi qualche sorpresa che però non arriva. Non capire il gioco è frustrante.

“Perché lo fai?” chiede all’improvviso Papà Nino, “Adesso puoi anche dircelo, no?”.

“Cerchi di prendere tempo?” risponde il Pipitone,” “Il tuo amico ha adesso tre minuti”.

“Tre minuti sono abbastanza per dirci qualcosa delle statuette, no?”.

Il Pipitone comincia a ridere, “Questa è dunque la parte in cui il cattivo svela i suoi piani, mentre i buoni si organizzano per fregarlo” e continua a ridere.

“Perché non lasci andare Aurora?” chiede il Nonno.

“Ma lei sta bene con il suo papà, non è vero piccola?”.

“Lasciala andare” aggiunge il Tetto, “Falla uscire da qui. Hai noi adesso”.

“Ma lei vuole restare con suo padre, vero Aurora? Dillo ai signori chi è tuo padre”.

“Che diavolo stai blaterando?” dice il Nonno.

Aurora alza di nuovo la testa e lo fissa in silenzio.

“Non ti ricordi di me, vero?” fa con tenerezza il Pipitone.

“Che cazzo sta dicendo quel figlio di puttana?” mormora il Nonno.

“Due minuti!” aggiunge il Pipitone.

“Aurora non è tua figlia” afferma poco convinto il Tetto.

“Oh, sì che lo è” replica con enfasi l’altro facendole un’altra fredda e lasciva carezza, “E visto che mi sento magnanimo, farò come i cattivi dei film e vi rivelerò tutto aspettando che l’eroe di turno arrivi a salvarvi tutti”.

“Questo stronzo si è bevuto il cervello” commenta Mr.P.

“Allora” fa il Pipitone, “È difficile in meno di un minuto, ma cercherò di essere sintetico. Ho scoperto per caso le quattro statuette in possesso di quell’idiota e per farle arrivare in America gliele ho fatte passare alla Dogana. Ho mandato un altro paio di idioti a casa vostra a prelevare le restanti, ma ne è tornato uno solo e con lei”.

“E così vuoi finire quello che mio padre ha cominciato” commenta Papà Nino.

“Aurora è la figlia di una puttana” continua il Pipitone, “Non saprei definirla diversamente una donna che viene con te per soldi, anche se di quelle di classe, diciamo così…Non sapevo nemmeno che esistesse fin quando la madre non è venuta a cercarmi”.

L’uomo s’interrompe e ricomincia a ridere.

“Perché lei?” gli chiede il Tetto.

“Non me ne fregava un cazzo di lei” risponde il Pipitone, “Poi ho scoperto queste statuette quando il tuo vecchio…” dice indicando Papà Nino, “…ha cominciato a fissarsi con l’immortalità e tutto il resto”.

“E hai permesso lo stesso che la sacrificasse” ringhia il Nonno stringendo i pugni.

“No!” esclama divertito il Pipitone, “Non lo avrei mai permesso, questo è il bello! Vedi, a lui quel sacrificio non serviva, ma a un consanguineo sì! Questo dice la leggenda! Poi siete arrivati voi” e ricomincia a ridere.

 

 

 

Il Pastore corre sul retro dell’abitazione e cerca di trovare un ingresso da cui accedere senza essere visto. Molte telecamere lo inquadrano, ma lui non se ne cura. Dopo aver ucciso l’uomo all’ingresso il piano è saltato, perciò, se ci sono altri uomini armati in casa quello è il momento di scoprirlo. Non ha ancora la certezza che Sergio sia davvero l’unico scagnozzo del Pipitone, ma la convinzione che il folle avesse agito di prudenza minando la sua casa piuttosto che farla difendere dalle armi lo prende poco a poco. Aveva visto i laser nella sala e memore anche dei fatti avvenuti nella casa sulla collina, il Pipitone aveva forse immaginato che un difesa tecnologica fosse più efficace.

Che razza di trappole poteva aver seminato in previsione del loro arrivo? L’unica speranza era che non avesse previsto un’azione come la sua e che avessero ancora la possibilità di sorprenderlo. A confortare il Pastore c’è anche il fatto che Gaetano sembra scomparso, il che voleva dire che o non si è accorto della sua intrusione, oppure lo sta aspettando.

“Bella consolazione” mormora mentre arriva guardingo a una delle verande che danno sulla cucina.

Se le sue intuizioni sono giuste, o piuttosto, se le convinzioni del Tetto non sono fasulle, Gaetano li ha fregati portando via le statuette per consegnarle al Pipitone.

“Ma se non è qui” dice entrando nella cucina, “Stavolta lo prendiamo nel culo di brutto”.

Guardandosi intorno, avanza silenzioso finché non si trova nei pressi di una grande sala scura dove, attraverso una porta semi aperta, vede proprio Gaetano porre le statuette all’interno di un pentagramma disegnato sul pavimento.

Nel pentagramma ci sono candele accese e il volto dell’uomo all’opera gli pare sinistro per l’effetto delle ombre.

“Un altro rito del cazzo” sibila e cerca di riflettere il più in fretta possibile.

Dopo aver posizionato le sei statuette a terra, Gaetano versa del liquido su ognuna di esse.

“Che cazzo è” borbotta il Pastore quando capisce che sta perdendo solo del tempo prezioso.

Scivola via nel buio della sala e cerca di avvicinarsi il più possibile. Deve agire in fretta e silenziosamente.

Arrivato a un certo punto, non avendo ripari, non gli resta che balzare fuori il più veloce possibile, ma Gaetano è lesto e si accorge della sua presenza. Cerca di sfoderare la pistola, ma il gesto gli è fatale.

Il Pastore lo immobilizza con una mano, mentre con l’altra gli torce il polso facendogli perdere l’arma. Una volta disarmato, Gaetano cerca di gridare, ma con la mano definitivamente libera, il Pastore può girargli il collo spezzandolo di netto con un schiocco sordo.

“Fanculo” si rammarica l’uomo, “Avrei voluto divertirmi di più con te” aggiunge adagiandolo a terra.

Recuperando l’arma e avviandosi oltre, il Pastore è attratto dall’ampolla che Gaetano aveva tra le mani. Si abbassa e la prende. Dentro, c’è il liquido che gli aveva visto versare sulle statuette. Alla luce delle candele non lo identifica.

“Che cazzo è questa roba?” dice versandosene un po’ su un dito notando con stupore che è sangue.

Rialzandosi, fissa con più attenzione il pentagramma disegnato sul pavimento.

“Un rito…un rito satanico…” borbotta quando sente uno sparo e Aurora gridare a pochi metri da lui, oltre una porta chiusa. Il Pastore comincia a correre lasciando cadere l’ampolla.

 

 

 

Aurora capisce il significato di ogni singola parola del Pipitone e quando alza la testa verso di lui vuole accertarsi che stia veramente parlando di lei. L’uomo le sorride, ma sa benissimo che in lui non c’è nemmeno l’ombra dell’affetto che i cinque uomini dall’altro lato della sala provano per lei. Quando riporta il suo sguardo su loro, in realtà non li vede. L’eco delle parole appena sentite le rimbombano in testa. Sua madre una puttana. Sa benissimo cosa vuol dire e fissando nel vuoto, attraverso il viso del Nonno, a stento trattiene le lacrime. Questo è dunque il mistero della sua vita? La figlia di una donna che aveva scelto di essere pagata per stare con gli uomini? Nella tristezza che comincia scavarle dentro, si chiede perché mai fosse capitato proprio con un uomo come quello, perché suo padre doveva essere l’uomo che l’aveva rapita e non un altro anonimo essere umano. Sarebbe stato meglio.

Si era convinta appena poche ore prima dell’inutilità del suo destino, del non volere sapere nulla del proprio passato perché il presente le piaceva. Tranne che in quel momento, ovviamente.

Il suo piccolo viso si contrae in una smorfia di dolore e morsicandosi il labbro inferiore cerca con tutte le forze di non lasciarsi andare, non ora, non in quel momento. Aveva giurato a se stessa di essere forte e sarebbe stata forte più del dolore per quella rivelazione che non avrebbe mai voluto ricevere.

“Ehi…piccola…” le dice il Nonno dall’altro alto della sala, “Non lo ascoltare, capito? Vedrai che tra poco è finita”.

“Oh, ma che bravo” lo schernisce il Pipitone, “Diamole anche vane speranze” e ricomincia a ridere per poi bloccarsi di colpo, “Tempo scaduto”.

“Io dico che questi laser non fanno un cazzo” sussurra il Mast cercando di farsi sentire dal Nonno che gli è più vicino e comincia ad avanzare lentamente tenendo d’occhio il Pipitone.

“Prima avevi detto…” sibila il Nonno, ma lo segue lo stesso.

Aurora, accortasi della mossa, dilata le pupille impaurita e dimentica del dolore che sta provando, comincia a muovere sensibilmente la testa cercando di comunicare con lui. Sta abbassando la testa sconsolata quando nota qualcosa sotto i pedi che attira la sua attenzione. Dopo pochi secondi rialza la testa di scatto e cerca di dissimulare qualsiasi emozione, ma il Mast, avendola vista, si blocca di colpo proprio mentre sta per attraversare la maglia invisibile e trattiene allo stesso tempo il Nonno che lo stava seguendo.

“Che cazzo c’è?” sussurra il Nonno.

“Non ti muovere”.

Aurora lascia andare il fiato che aveva trattenuto, chiude un po’ gli occhi e riflette. Doveva concentrarsi su quello che aveva visto sotto i suoi piedi e doveva fare in fretta. Il pavimento è composto da mattonelle perfettamente rettangolari di colore bianco e nero, eppure, sotto i suoi piedi le erano sembrate diverse. L’uomo che le stringe le spalle continua a tenerla ferma su quel punto per non farla muovere e scoprire ciò che c’è sotto. Se ha ragione, deve scoprirlo prima che sia troppo tardi, perciò, cautamente, cerca di spostare i piedi e riabbassare di nuovo la testa.

“Ferma” le sussurra il Pipitone e per un attimo le sembra che sia in ansia.

“Lasciala andare” dice Papà Nino, “Tra poco avrai le tue statuette”.

“Io credo che il vostro amico sia scappato” fa il Pipitone allontanandosi dalla ragazzina sensibilmente, “Non lo farei se fossi in te” aggiunge poi vedendo il Nonno puntargli di nuovo la sua pistola.

“Perché no?” chiede Mr.P armando la sua di pistola.

“Se una pallottola attraversa quei laser saltiamo tutti in aria, voi non volete che la piccola Aurora salti in aria, vero?”.

“Balle!” replica Mr.P alzando il braccio, “Non rischieresti il culo anche tu”.

Il Pipitone sta per replicare quando il proiettile di Mr. P gli buca la spalla destra facendolo vacillare.

“Se ti muovi, la prossima ti arriva in testa” dice Mr.P e avanza oltre la maglia dei laser seguito dagli altri.

Aurora, in quel momento, abbassa di nuovo la testa e spostando i suoi piedi vede meglio le mattonelle.

Le sembrano tasti e quando sente il click capisce. Comincia a gridare.

 

 

 

Il Pipitone sfodera a fatica una pistola e comincia a sparare su di loro. Il Nonno, più vicino, viene colpito subito a un braccio, mentre gli altri riescono a ripararsi buttandosi a terra evitando i primi colpi. La spalla ferita non permette al Pipitone di prendere la mira che, riparandosi dietro l’esile corpo di Aurora, si concentra comunque sul Nonno che gli si avventa addosso come un Ariete impazzito.

“Stai giù cazzo!” gli urla Papà Nino quando lo vede rialzarsi e lanciarsi su di lui senza difese.

Il Mast e Mr.P cercano di rispondere al fuoco, ma sulla loro traiettoria ci sono Aurora e il Nonno.

Nel frattempo, la pistola del Pipitone s’inceppa.

“Cazzo, levati!” dice il Mast, ma due proiettili gli passano proprio davanti agli occhi, mentre un terzo graffia la guancia del Tetto alla sua sinistra che sia accascia con dolore.

“Figlio di puttana!” grida Mr.P, “Lo ha preso!”.

“Ci sono! Ci sono!” ansima il Tetto tenendosi la guancia mentre rotolava sul pavimento.

Inceppata di nuovo la pistola, il Pipitone la scaglia sul Nonno e si getta verso la porta dietro di lui con impeto, ma Papà Nino, rialzatosi con uno scatto riesce ad afferrargli un piede bloccandolo.

“Non scappi stronzo!” urla, ma con il piede libero l’altro riesce a liberarsi e riprende la fuga che è interrotta però dal Pastore che gli sbuca in quel momento davanti facendolo barcollare all’indietro. L’uomo finisce addosso a Papà Nino e, cercando di tenere l’equilibrio, cade tra i piedi di Aurora che per tutto il tempo era rimasta rannicchiata su se stessa senza muoversi. Nello stesso momento, la ragazzina è afferrata dal Nonno che la tira via rotolando.

“No!” urlano insieme Aurora e il Pipitone.

A quel punto, per il Pastore il tempo si ferma.

Ricorderà ogni piccolo particolare di quei pochi secondi, perché mentre per gli altri passeranno in fretta, lui giurerà sempre di avere avuto, volendolo, anche il tempo di una sigaretta. La prima cosa che vede, sono le mattonelle su cui si trovava Aurora e capisce immediatamente che fanno parte di un congegno a pressione che avrebbe fatto scattare una carica esplosiva. Non pensa che il Pipitone vuole far saltare l’intera casa e il giochino dei laser è stato un abile stratagemma. Quel meccanismo non deve essere come quello dei militari, che una volta innescato risulta fatalmente veloce, perché il bastardo si trova troppo vicino ad Aurora. Glielo conferma la sensazione avuta mentre correva in direzione dello sparo e che riporta alla mente nello stesso istante. Durante il tragitto aveva avuto la chiarissima percezione dei vari clik intorno a lui, come se invisibili trappole si stessero attivando al suo passaggio. In quei momenti, aveva pensato di essere stato fregato, invece, passo dopo passo, arrivando nella sala dove si trovano anche gli altri, nessuna bomba era esplosa. Quando aveva visto i suoi amici oltre la maglia dei laser, aveva capito subito che erano stati loro ad attivare i meccanismi. Una volta usciti dalla sala, solo il Pipitone avrebbe saputo dove passare.

“Hai capito lo stronzo” borbotta quando il Pipitone urla il suo disperato no insieme ad Aurora. Quello che fa poi è semplice: gli salta addosso e lo preme sul punto in cui si trovava la ragazzina.

BOOM!

Il Nonno ha il tempo di stringere Aurora e voltarsi sul lato opposto, “Non ti muovere piccola”.

SQUASH!

Gli altri quattro si piegano d’istinto, ma il rumore della detonazione li incuriosisce e alzano gli occhi per vedere.

Il Pipitone e il Pastore sono sbalzati in alto dalla piccola carica esplosiva che si trovava nel pavimento, ma mentre il Pastore scivola via su un lato della sala, il Pipitone, che si trovava sotto di lui, viene dilaniato e si apre come un sacco delle immondizie vomitando su di loro il suo contenuto. Non riesce nemmeno a gridare.

“Porca puttana” sussurra Papà Nino coprendosi la faccia. Pochi secondi dopo è tutto finito.

Quando il Tetto si rialza, la prima cosa che vede è la testa del Pipitone che rotola intatta davanti ai piedi del Mast che l’afferra al volo fissandola con curiosità, “Mi sa che hai perso la testa oggi, non è vero?” .

“Mettila giù” gli fa il Tetto tamponandosi la guancia ferita, “Abbi rispetto per la morte”.

“Tutto bene, ragazzi?” chiede Mr.P avvicinandosi al Nonno e Aurora.

Il Nonno gli dice di sì con la testa, poi prende tra le mani la faccia di Aurora in lacrime.

“È finita piccola, è tutto finito” e l’abbraccia forte mentre si rimettono in piedi.

“Per una volta te lo devo dire” fa Papà Nino al Pastore aiutandolo a rialzarsi, “Sei stato grande”.

“Aspetta a dirlo” ribatte cupo l’altro e si sgranchisce.

“Che c’è?”.

“La casa è minata. Ci sono trappole dappertutto. Mi sa che attraversando la maglia dei laser, le avete attivate tutte”.

“E no cazzo!” fa Mr.P.

Nel frattempo, il Nonno cerca di ripulire Aurora tenendola con le spalle agli altri per non farla girare verso il corpo del Pipitone fatto a pezzi. Anche il sangue che hanno addosso loro due non è uno bello spettacolo, ma il grosso sta sulla schiena dell’uomo e lei non lo può vedere.

“So dov’è” dice Aurora asciugandosi le lacrime e guardandolo dritto negli occhi.

“Cosa?”.

“Il meccanismo delle bombe. Me lo ha fatto vedere”.

Sentendola, gli altri le si fanno subito intorno ripulendosi alla buona.

“Se sicura piccola?” chiede il Tetto.

Lei fa di sì con la testa.

“Dove?”.

Aurora cerca di voltarsi per indicare lo specchio, ma il Nonno la ferma subito.

“No, piccola” dice con gentilezza, “Meglio se non ti volti da quel lato. Dicci solo dove si trova, lo ricordi?”.

“Dietro lo specchio”.

I cinque si voltano e trovano l’unico specchio presente nella sala. Si guardano per un po’. Dopo, senza dire nulla, quelli di loro che erano armati puntano le pistole.

“Tappati le orecchie con le mani” dice il Nonno e quando lei lo fa, una serie di proiettili manda in frantumi lo specchio da dietro il quale scintille di circuiti elettrici innescano un piccolo incendio facendo abbassare per un attimo la corrente elettrica. Dopo, resta solo l’odore acre della plastica in fumo.

“Non ci resta che uscire” propone Papà Nino, ma non si muove.

“Paura, eh?” gli fa il Mast sorridendo e l’altro con falsa galanteria gli concede la strada.

“Oh, no” replica il Mast, “Facciamo andare prima il Pastore”.

“Io?” chiede il Pastore, “E perché dovrei andare prima io?”.

“Perché sai dove andare, tutto qua” risponde lui.

“Io non so dove andare, ma so dove devi andare tu, chiaro?”.

“Ragazzi?” dice il Tetto, “Aurora ci ha tirati fuori, per cui…” e si avvia alla porta da cui erano entrati.

“Cacasotto” mormora Mr.P al Pastore con un ghigno.

“Vaffanculo!” ribatte l’altro e lo segue.

“Chiudi gli occhi che usciamo adesso” fa il Nonno e Aurora ubbidisce.

“Posso chiederti una cosa?” domanda il Tetto a Mr.P. quando gli passa vicino.

“Cosa?”.

“Perché hai sparato? Come facevi a sapere che lo potevi fare?”.

“Il Mast a un certo punto ha detto che quei laser non avrebbero fatto un cazzo e gli ho creduto. Sentivo…sapevo…”.

“Va bene” fa il Tetto sorridendogli.

Mentre si avviano, il Pastore, che era rimasto per ultimo, si ferma davanti alla testa del Pipitone.

“Pezzo di merda” sussurra, “Di certo non eri immarcescibile” e segue gli altri sorridendo.

 

Raffaele Scotti

 

2 Commenti

  1. Questo capitolo ti lascia in ansia fin dall’inizio! E l’ultima frase è davvero un finale stupendo per la vicenda ahahaha Anche in situazioni estreme gli uomini non perdono il loro carattere che li fa litigare, ma in qualche modo li tiene anche uniti. Sono proprio un gruppo divertente.
    Ma mi chiedo come mai il Pitone abbia mostrato ad Aurora come disattivare i meccanismi…

  2. Grazie sempre per il tuo apprezzamento!…;)…L’idea di un gruppo mal assortito, ma funzionante è forse il nucleo stesso delle vicende. Funziona perché improbabile. Ci sono esempi simili in varie saghe e serie anche non letterarie. Non so se nella realtà funzionerebbe allo stesso modo, ma la frase “gli opposti si attraggono” non è banale secondo me. Per quanto riguarda il Pipitone…In realtà lui mostra ad Aurora il quadro elettrico che “comanda” i laser/sensori di movimento (che sono falsi) e il meccanismo a pressione su cui tiene ferma la bambina (che è la vera trappola). Forse questa parte è descritta/spiegata male, ma il piano del “cattivo” è confondere gli avversari con il falsi laser, tenere bloccata Aurora sul meccanismo a pressione abbastanza a lungo da fuggire anche senza aver recuperato le statuette. L’istinto del Mast, le “visioni” del Tetto e l’intervento del Pastore mandano in frantumi l’intento. Attuare correttamente il rito sull’immortalità era per lui solo un pretesto per vendicarsi degli uomini che lo avevano quasi ucciso. Gli spari dei nostri protagonisti sul quadro elettrico che disattivano la trappola è un “azzardo” inverosimile. L’ho inserito, però, facendo perno su molte delle situazioni in cui agiscono d’istinto o guidati da questa forza mistica che “parla” al Tetto.


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