Aurora: Il Numero Portafortuna (Cap. 4)

CAPITOLO 4 – IL NUMERO PORTAFORTUNA

È incantato dall’atmosfera irreale da cui si sente avvolto e vola verso il suo sogno che ha imparato ad amare. Un po’ lo teme, perché non sa mai cosa c’è alla fine. Lo vede, lo sente, ma non lo riconosce per quello che è veramente, almeno non sulle prime, perché dopo tutta la sua malvagità gli arriva come un pugno in faccia da una mano invisibile. Tempo addietro, aveva creduto di sapere il perché di quei sogni, ma quando il motivo, il principio stesso era stato annientato anche grazie al suo intervento, l’ultima cosa che avrebbe pensato era che si ripetessero.

Dunque, non tutto era finito.

Il padre di Papà Nino, il Capo, o come si faceva chiamare ovunque la sua influenza negativa arrivava, era stato ucciso anche dai suoi proiettili e questo lo ricorda benissimo. Suo figlio lo aveva creduto morto per anni, ma al contrario, era divenuto un ombra tra le ombre, e cosa più inquietante, un burattinaio pericoloso e pazzo che li aveva usati nella sua folla ricerca delle statuette raffiguranti il Budda. L’uomo aveva coinvolto anche la piccola Aurora e loro mai avevano saputo come, né perché. La ragazzina non aveva mai parlato dei giorni in cui era stata rapita per essere sacrificata in un assurdo rito. Non aveva un passato, ovunque lo avessero cercato, non avrebbe avuto un presente se non l’avessero salvata. Perché fosse stata scelta lei e non un’altra, non lo avevano capito. All’inizio avevano pensato che fosse una vittima casuale, solo un tassello nel grande cerchio del loro intricato destino e del folle che rincorreva l’immortalità.

Più di una volta il Tetto si è chiesto se i sogni non fossero ritornati per lei e quando se ne è convinto, l’idea che la ragazzina dal passato misterioso fosse ancora in pericolo non lo aveva più abbandonato.

Il Tetto sogna. Sogna quasi tutte le notti come se fosse lui a richiamare quelle immagini sfocate per trovare le risposte ai quesiti. Tutte le volte si sente chiamare. Voci calme parlano la sua lingua e solo vedendo il fiume materializzarsi davanti ai suoi occhi ricorda la prima volta, al monastero, in Tibet, quando uno dei piccoli Budda ha scalfito la sua anima di malvivente in modo indelebile. Si lascia librare nell’aria e si dirige verso la riva.

“Cazzo” sussurra sempre, “È bellissimo” e avanza nel suo sogno.

 

 

 

“Porca troia, che combini? Prendi quella cazzo di carta e falla finita!” ringhia tra i denti il Pastore, mentre il Mast non sa se rilanciare o meno. Papà Nino sbuffa nervoso, ma il Nonno e Mr.P se la godono.

Seduta sul divanetto dietro di loro, Aurora, con le guance tra le mani, sta per assistere a una nuova puntata del suo show preferito che si sta svolgendo sul tavolino del soggiorno. Nel covo di Via Giovannipoli non c’è più la nebbia delle sigarette che li avvolgeva tutte le volte che si mettevano a giocare a carte, non più da quando lei è con loro.

Il Tetto lo aveva proposto, tutti lo avevano accettato, meno che il Mast. Lui non fumava, lui mangiava e anche in questo era stato ripreso dal suo complice più riflessivo.

“Non dai il buon esempio” lo aveva rimproverato una volta e l’altro aveva dovuto incassare senza replicare, perché in effetti la piccola Aurora aveva messo su un paio di chili nell’ultimo mese e di fare sport non ne voleva sapere.

C’erano però le birre, gli stuzzichini e il gelato per lei tutte le volte che giocavano, anche d’inverno, sebbene quel giorno era decisamente lontano dalla fredda stagione che a pochi piaceva. È estate, fuori la canicola pomeridiana lascia spazio solo a temerari grilli di città che intonano le loro nenie petulanti. Non si odono che rari vociare dagli appartamenti vicini e tutto sembra oziare in una siesta forzata.

“Immagino che il Tetto se la dorma per evitare tutto questo ogni volta” borbotta Papà Nino appoggiando le sue carte.

“Dai, dai!” aggiunge irrequieto il Pastore fissando il Mast che non si decide.

“Se prendo una carta, poi devo mollarne una” dice quest’ultimo non rivolgendosi a nessuno.

“Non mollare niente” fa Mr.P, “Fa già caldo, non mettiamoci anche i cattivi odori”.

“Colori!” esclama il Mast, “Se ho carte degli stessi colori, vuol dire qualcosa?”.

“Ma perché ti ostini a giocare se non conosci le regole di questo cazzo di gioco, me lo spieghi?” sbotta il Pastore.

“Ma piantala” s’intromette il Nonno, “Fallo decidere con calma, chi ci corre dietro?” e intanto sorride.

“Chi ci corre dietro” commenta Papà Nino, “È da un quarto d’ora che ha quelle cazzo di carte e non si decide!”.

“Lo vedi!” esclama il Pastore appoggiando le sue carte sul tavolino, “Lo dice anche lui!”.

“Lui non mi sta dicendo di non giocare, ma di decidere” puntualizza il Mast.

“Allora decidi, cazzo!”.

“Asso” fa il Mast, “È una carta importante l’asso?”.

“Dipende” risponde Mr.P con un accenno di sorriso, “Se alto o basso”.

“Ma che cazzo…” sta per dire Papà Nino, ma il Nonno che gli è vicino gli dà un colpo con il ginocchio.

“Alto o basso?” chiede il Mast perplesso.

“E no!” fa il Pastore esasperato, “Vi ci mettete anche voi adesso! Andate a fare in culo, io non gioco più!”.

“Ehi!” esclama il Mast sbattendo le sue carte sul tavolo, “Perché non ti dai una calmata? Stiamo giocando, no?”.

“Noi stiamo giocando!” ribatte l’altro nervoso, “Tu rompi i coglioni, ecco cosa fai!”.

“Io cosa? Ma vaffanculo stronzo!” sbotta il Mast e si avventa su di lui, ma il Pastore è rapido e sfodera subito la sua pistola puntandogliela alla testa.

 

 

 

“Non capisci, tu non puoi” sussurra il Tetto che sente le loro voci da lontano.

È solo, disteso sul suo letto in una delle camere dell’appartamento di Via Giovannipoli. Non gli piace molto giocare a carte, anche se si diverte tanto quando capita. C’è il Mast ed è difficile annoiarsi. È sempre lui a rendere divertente la situazione, perché lo si può prendere in giro senza farlo arrabbiare veramente. Vuole imparare, questo è il punto. Non conosce le regole del gioco, ma si ostina a capirle. Loro gliele spiegano ogni volta, ma il Tetto pensa che il Mast finga di non capirle solo per esasperare il Pastore e Papà Nino, gli unici che lo prendevano seriamente.

Certi giorni era meglio dormire. Magari sognare di nuovo, qualcosa in più. Per capire di più.

Il Tetto è nell’aria quando il Pastore sfodera la sua pistola quel pomeriggio, a un passo dalla riva del fiume.

Poco dopo si ritrova tra la gente del luogo che solo in quel momento può chiaramente distinguere. Sono donne, uomini e bambini che si lavano in acque limpide e calme con una lentezza sacrilega che lo affascina sempre. Sa che purificano il corpo e insieme le loro menti. Lo sente, lo vive dai loro volti estasiati e felici che gli strappano commozione scavandogli nel profondo, all’interno stesso della sua anima. Questa è la parte più bella del suo sogno.

Quando nell’istante successivo scorge l’uomo che si trova sulla riva opposta del fiume, la sensazione di malessere è l’unica che riesce a provare. E l’incubo comincia.

Lì il fiume è sempre sporco e l’acqua sempre rossa. Nonostante questo, l’uomo vi si immerge. La presenza lo fissa e la sensazione che lo invita a raggiungerlo, a guardare meglio, è forte e opprimente con il passare di interminabili secondi. Nota il suo sorriso e in quello crede di riconoscerlo, ma poi l’immagine sbiadisce, come solo negli incubi può capitare ed ecco comparire il volto chiaro e triste di Aurora. È lei o qualcosa che la ricorda, non lo capisce mai bene, perché prima di svegliarsi, ha solo la certezza della sua voce che gli dice parole che non comprende mai.

 

 

 

La prima volta che aveva assistito a una scena simile era stata appena salvata. Lo ricorda ancora.

Era chiusa in una gabbia e appesa al soffitto di un’enorme stanza con poca luce, come un uccellino, ma pronta per un sacrificio e per il diletto di tre uomini incappucciati. Non sa da dove proviene, ricorda il suo nome, in lei confusione e paura. Aveva pianto, aveva gridato, ma i tre uomini incappucciati non sentivano, non avevano voluto. Allora aveva guardato giù, sotto di lei, sotto la gabbia, là dove i tre si tenevano per mano in silenzio ed era rimasta abbagliata dalle dodici statuette disposte in circolo. Aveva gridato ancora, ma gli avevano detto di stare zitta, quindi erano comparsi loro, i padri, i suoi angeli custodi, sbucati da dietro le ombre dei grossi colonnati di quella enorme stanza.

C’era stata una sparatoria e lei si era rannicchiata sul fondo con il timore di essere colpita, poi, dopo un tempo interminabile, aveva rialzato il capo in un silenzio di nebbia e fumo. Solo molto tempo dopo il Nonno l’aveva portata in salvo, fuori, alla luce di un luna che non ricorderà mai così tersa e grande.

Lì i suoi salvatori avevano inscenato per lei il loro primo spettacolo.

“Allora?” grida il Mast al Pastore distogliendola dal suo ricordo, “Che cosa sarebbe questo? L’asso nella tua manica?” e gli ride in faccia sbeffeggiandolo.

L’altro lo fissa torvo, “Adesso ti buco quella tua testa vuota e vediamo se sfotti ancora, stronzo!”.

“Andiamo” fa Mr.P con tranquillità riponendo le sue carte, “Mettila giù e piantala”.

“Vaffanculo anche tu!” sbraita il Pastore, “È anche colpa tua! Ti diverti a istigarlo, non è vero?”.

“Non credi di esagerare adesso?” dice il Nonno puntandogli la sua pistola, “Dai mettila giù” aggiunge con stanchezza.

“Perché non la metti giù tu?” fa Papà Nino sfoderando la sua di pistola, “Ha ragione! Voi lo istigate e gli date corda!”.

“Qui nessuno dà corda a nessuno!” dice il Mast a Papà Nino, “Vi scaldate sempre troppo ogni volta che giochiamo! Perché continuate a giocare?”.

“Ma che cazzo!” sbotta il Pastore portandosi le mani alla testa, “Adesso siamo noi che abbiamo torto?”.

“Io non ti ho torto un capello, chiaro?” grida il Mast.

“Porca miseria Mast!” sbraita esasperato Papà Nino, “Si riferiva ad altro! Ma hai il cervello scollegato?”.

“Ehi!” s’intromette Mr.P, “Guarda che ha cominciato lui!” dice indicando il Pastore.

“Io non ho cominciato un cazzo, è lui che fa sempre storie!” si difende quest’ultimo.

“Io non faccio storie, chiaro? Non so nemmeno come cazzo si racconta un storia!” dice il Mast.

“Ma lo sentite!” si dispera il Pastore, “Fatemelo ammazzare!”.

“Non ammazzi nessuno, piantala!” gli urla il Nonno.

“Ma piantala tu!” gli dice Papà Nino puntandogli la pistola.

“Mettila giù, stronzo!” fa Mr.P che aveva preso un coltello e glielo puntava alla gola.

“Ragazzi?”.

Aurora, che segue la scena con gli occhi sgranati e pieni di divertita emozione, si volta di scatto verso la porta del soggiorno dove il Tetto è comparso all’improvviso interrompendoli.

L’uomo si stropiccia gli occhi assonnato, “Chi ha vinto?” chiede poi passando in mezzo a loro.

Fermi e in silenzio, lo guardano servirsi di una birra che preleva dal tavolino da gioco.

 

 

 

È sera e dopo aver messo a dormire Aurora, il Nonno torna in cucina dove si trovano tutti gli altri.

Il Mast sta finendo di lavare delle pentole e brontola con Papà Nino, “Ti diverti a fare sti sughi appiccicosi, eh?”.

L’altro fuma alla finestra e sorride, “Non mi sembra che tu ne abbia lasciato”.

“A momenti si prendeva anche il mio piatto” commenta Mr.P spengendo il suo mozzicone e mettendosi a sedere.

“Volevo il suo” aggiunge il Mast indicando il Pastore vicino che asciugava le posate con un panno, “Non il tuo”.

“Se non ti ho sparato oggi” ribatte calmo il Pastore mirando in controluce un cucchiaio, “Era solo per la ragazzina. Comunque tranquillizzati pure, adesso nemmeno potrei, perché si sveglierebbe”.

“Possiamo sempre mandarla a dormire dalle suore per un po’” dice il Tetto facendoli sorridere.

Poco dopo, il Nonno prende posto all’estremità del tavolo della cucina e il Tetto gli si affianca. Quando Papà Nino getta il suo mozzicone dalla finestra, il Pastore e il Mast sono già seduti.

Il Tetto racconta della nuova visione, nulla che non abbiano sentito altre volte, eppure, la storia che ascoltano quella sera sembra avere un fascino inquieto e nuovo.

“Credo che l’otto ci porti bene” fa il Nonno a un certo punto interrompendolo.

“Che vuoi dire?” gli chiede lui.

“Ne avevamo otto l’ultima volta, ne abbiamo otto adesso”.

“L’ultima volta non è che sia stata proprio fortunata” commenta il Pastore.

“Sì” fa il Nonno, “Ma è andata bene comunque. Non ci abbiamo rimesso le penne, no?”.

“Ma potrebbe succedere questa volta” aggiunge Papà Nino.

Per un po’ nessuno parla, poi è il Tetto a prendere di nuovo la parola.

“Io non credo sia un caso che siamo venuti a conoscenza di quel deposito, lì al Centro Commerciale”.

“Non avevamo bisogno di soldi per andare in America a recuperare le altre statuette?” chiede il Mast.

“Certo” risponde Papà Nino con sarcasmo, “Però chiedendo in giro dove si potevano trovare soldi sicuri, qualcosa si è preoccupato di indirizzarci per bene proprio là, giusto?”.

“Esatto” fa il Tetto guardandolo serio, “E non siamo sull’elenco telefonico, né mi risulta che abbiamo gruppi che ci sostengono sulla rete”.

“Chi dovrebbe sostenerci, scusa?” chiede il Mast.

“La rete” risponde subito Mr.P trattenendo un sorriso, “La rete”.

“Di che cazzo di rete parli?”.

“Ma non sai mai nulla!” ribatte il Nonno reggendo il gioco di Mr.P, “Dove poggi il culo la sera quando dormi?”.

“Non poggio il culo su nessuna rete!” risponde il Mast, “Abbiamo le doghe, lo hai dimenticato?”.

Il Nonno alza la mano e gli chiede scusa, poi ride.

“Mi stai prendendo per il culo, vero?” chiede il Mast.

“La piantate?” fa Papà Nino spazientito, “Cerchiamo di restare concentrati”.

“Qualcuno mi dice dove cazzo la trovo questa rete?” insiste il Mast.

“E basta!” fa il Pastore, “Oggi sei proprio insopportabile!”.

“Ragazzi” dice il Tetto attirando la loro attenzione, “Io credo che i nostri vecchi soci siano ancora in attività”.

“Impossibile” ribatte secco Papà Nino.

“Come facciamo a esserne sicuri?” gli chiede l’altro.

Per anni avevano lavorato per un uomo che non aveva un volto, per poi scoprire che era quello del padre di Papà Nino, il capo di un Organizzazione ramificata in tutta Italia se non nel mondo. L’uomo aveva due collaboratori, quello che si faceva chiamare il Pipitone e la sua amichetta, l’indiana dagli occhi azzurri, che erano sopravvissuti con un esiguo numero di scagnozzi alla violenta sparatoria nella casa sulla collina poi andata distrutta dall’incendio.

“Tecnicamente” risponde il Nonno, “Se escludete i due sotto stronzi, abbiamo lasciato andare alcuni di quei coglioni che ci avevano sparato addosso”.

“Che cazzo significa?” chiede Mr.P.

“Se un capo è uno stronzo, i sotto capi sono sotto stronzi, no?”.

“Non fa una piega” commenta il Mast.

“E comunque” aggiunge il Nonno, “Non credo che uno solo di quei coglioni possa aver messo su l’Organizzazione di nuovo. Erano mercenari, si saranno rivenduti al migliore offerente”.

“Ma l’Organizzazione poteva avere altri sotto stronzi, come li chiami tu” dice il Tetto.

“Quindi fammi capire” s’intromette, il Pastore, “Tu pensi che qualche sotto stronzo ci abbia fatto trovare quei soldi, agevolati, per così dire, perché vuole che andiamo in America a recuperare quelle cazzo di statuette?”.

“Non regge” commenta Papà Nino, “E non credo si tratti di nessun sotto stronzo. L’Organizzazione era tutta concentrata nelle mani di mio padre e per quanto riguarda i sotto stronzi che conoscevamo…sono morti, giusto?” chiede al Nonno.

“Li ho seppelliti vivi. Li ho fatti scavare la fossa, poi li ho buttati dentro. Non ci ho messo troppo a riempire la buca”.

“E come fai a sapere che non ne sono usciti?” chiede il Pastore.

“Gli ho fatto un paio di carezze prima…quì…con questa” risponde il Nonno mostrando il calcio della sua pistola e portandosela alla nuca.

Mr.P fa un mezzo sorriso ricordando perfettamente quel giorno.

“Tutto a posto?” gli aveva chiesto dopo che se l’era visto sbucare alle spalle e sporco di terra.

“C’era la spazzatura da mettere fuori” gli aveva risposto.

“Resta da capire, dunque, questi maledetti sogni” dice Papà Nino con un filo di voce.

Nessuno parla, c’è poco da capire, perché anche se non lo vogliono ammettere a voce alta, sanno già che quei sogni li porteranno di nuovo alle statuette, di nuovo allo scontro con qualcuno che è pronto a tutto per sacrificare la piccola Aurora perseguendo un’assurda leggenda.

“Non dobbiamo permettere che il proprietario delle quattro statuette venga a conoscenza dell’esistenza delle altre otto in nostro possesso” dice il Tetto, “Forse lo sa, forse non è lui il nostro uomo, ma una cosa è certa, lo dobbiamo anticipare, ecco perché dobbiamo andare in America”.

“Io sento puzza di bruciato” sentenzia il Mast ricevendo l’approvazione dei presenti.

“Però non abbiamo scelta” aggiunge subito il Tetto.

“Tu e tuoi dannati sogni” borbotta Papà Nino e si alza portandosi alla finestra.

Dopo un po’, il Nonno lo raggiunge per accendersi una sigaretta, “Non permetterò che nessuno le torci un capello” dice, “Se i sogni del Tetto ci sono serviti la prima volta, lo faranno anche adesso”.

“Questo dovremmo fare?” gli chiede Papà Nino, “Seguire i suoi sogni?”.

“La prima volta ti hanno portato la verità su tuo padre” risponde il Nonno senza guardarlo.

“Vaffanculo!” sbotta Papà Nino, “Al diavolo lui e la sua dannata ossessione per quelle cazzo di statuette!” e si rimette a sedere. Non voleva più sentirla quella storia, né ricordarla.

“Comunque” aggiunge il Pastore smorzando i toni, “Non mi sembra che questi sogni ci indichino l’America”.

“Ma so che è lì che troveremo le risposte” afferma il Tetto.

“E come la mettiamo con Aurora?” chiede Papà Nino.

“Non c’è nulla da discutere” sentenzia il Nonno e si volta verso di loro dopo aver buttato il suo mozzicone, “Semplice. Lo sai tu come lo sappiamo noi, giusto?” e li fissa.

“Se è una trappola” aggiunge il Mast, “Vuol dire che è una vendetta…e se è una vendetta…”.

“Vuol dire che i fantasmi del passato ci tormentano” finisce per lui il Pastore.

“Perché non potrebbe essere più semplice?” chiede Mr.P, “Magari c’è qualcuno che ce la vuol far pagare sapendo quello che abbiamo fatto. Quando abbiamo sottratto le otto statuette dal deposito della Polizia non abbiamo fatto altro che aprire loro gli occhi. Poi abbiamo preso i soldi…”.

“E adesso sono incazzati” finisce il Nonno, “Perché magari li abbiamo anticipati, perché magari qualcuno vuole finire quello che è stato cominciato”.

“Un altro stronzo che crede nell’immortalità?” chiede il Pastore.

“Perché no?” fa il Nonno.

Papà Nino soppesa l’ipotesi e ammette che sia credibile, ma non capisce a questo punto il coinvolgimento di Aurora.

La ragazzina sembrava una vittima sacrificabile non casuale e che era parte attiva di quell’assurdo rito sull’immortalità.

“Aurora?” chiede agli altri, “Che ha di speciale la nostra ragazzina se il Tetto continua a sognarla?”.

“Lo sapremo solo quando avremo le altre statuette” commenta il Tetto, “Non so perché, ma so che è così”.

“E questo significa che non la possiamo lasciare qui” aggiunge il Nonno.

“Non possiamo portarcela dietro, correrebbe dei rischi” dice Papà Nino.

“Ma se resta qua è peggio” sentenzia il Nonno.

 

 

 

Verso le tre del mattino, due uomini forzano l’ingresso del condominio e salgono all’appartamento del terzo piano di Via Giovannipoli. L’ora precedente l’hanno persa calandosi sul tetto dello stabile dal palazzo contiguo.

Forzare la porta delle scale dal terrazzo era più rischioso, ma era stata la loro prima mossa. C’era una serratura molto più resistente che avevano controllato superficialmente nei giorni precedenti e avevano creduto di poterla aprire con la loro esperienza. La porta però era risultata troppo arrugginita e solo quando se l’erano trovata effettivamente davanti avevano capito che rischiavano di fare troppo rumore.

Con la canicola estiva che di notte si attenuava, qualcuno, nella ricerca di refrigerio su balconi e terrazzini improvvisati a camere da letto, poteva notarli facilmente, così, dopo due tentativi andati a vuoto, con la tensione continua di una luna troppo piena e lucente di quella notte, avevano deciso di entrare dal basso.

Il portone del palazzo risulta più facile da forzare e per le scale non trovano ostacoli. Aprire poi l’ingresso principale dell’appartamento è un gioco da ragazzi: sono attrezzati e in dieci minuti sono dentro.

La prima cosa che fanno è indossare le maschere con respiratore rilasciando gas stordente da alcune bombolette che portano in una grossa borsa. Non vogliono correre rischi e temendo che il gas si disperda dalle finestre quasi tutte aperte, si affrettano e trovano subito ciò che cercano.

Aurora dorme in un lettino posto in mezzo a quello del Nonno e del Mast nella prima stanza in cui entrano. Quando il primo dei due uomini l’afferra, il Mast sgrana gli occhi allarmato. L’intruso urla per lo spavento e tira via con uno strattone la ragazzina che si desta visibilmente scossa. In quel momento, gli altri abitanti della casa che occupano le due stanze in fondo al corridoio si svegliano.

L’urlo di Aurora agita subito il Nonno che cerca di rialzarsi, ma è subito vinto dalla stanchezza indotta dal gas e il secondo intruso ne approfitta per sferrargli un calcio. L’uomo butta giù dal letto anche il Mast che sta cercando di alzarsi e intima al complice di scappare con la ragazzina. Aurora ha ancora la forza di gridare, ma è un urlo debole il suo, e all’uomo che l’ha presa basta mettere una mano sulla sua bocca per neutralizzarla.

Il Pastore e Papà Nino, nel frattempo, riescono a guadagnare il corridoio con lentezza.

In un ultimo sforzo di volontà, consci di quello che sta succedendo, sia il Mast che il Nonno riescono a rialzarsi per afferrare l’intruso che li aveva colpiti afferrandogli le caviglie e facendolo cadere a faccia in giù. Il complice ha solo il tempo di voltarsi per capire cosa succede, ma intravedendo il Pastore e Papà Nino sulla soglia delle loro camere, decide di scappare con Aurora guadagnando l’uscita e dileguandosi nel buio delle scale.

L’altro, rimasto nella camera con il Mast e il Nonno, riesce a districarsi dalla morsa dei due e si precipita fuori quando stanno sopraggiungendo Mr.P e il Tetto.

Svegliatisi di soprassalto insieme agli altri, ci avevano messo poco per capire quello che succedeva. Più fortunati di loro, dormendo nelle rispettive stanze vicino alle finestre, non avevano subito l’effetto stordente del gas e quando si precipitano nel corridoio si scontrano con l’intruso facendolo carambolare vicino a un finestra.

L’urto è tale che l’uomo finisce con il bacino sul davanzale piegandosi in due come una bambola di pezza e morendo sul colpo accasciandosi a terra inerme.

“Fanculo!” ringhia Mr.P e scavalcando il cadavere si precipita fuori dall’appartamento inseguito dal Tetto.

 

 

 

L’aria fredda del piazzale illuminato da poche luci si condensa sui finestrini dell’automobile scura ferma vicino a una saracinesca chiusa. C’è buio in quel piccolo vicolo in cui il mezzo sosta e un barbone che vi soggiorna si nasconde non appena vede l’uomo in nero avvicinarsi. È sceso dalla sua automobile e si è acceso una sigaretta.

La figura in controluce sembra fissarlo, ma lui sa di essere invisibile sotto i cartoni che userà per ripararsi meglio non appena il suo spazio sarà liberato. Non sa perché, ma l’uomo in nero lo intimorisce.

Anni prima, aveva visto morire ammazzato un suo compagno proprio da un uomo come quello. Forse pensava che lo denunciasse, chi lo sa, ma lo aveva freddato con la sua pistola non appena si era accorto della sua presenza.

Non avrebbe corso lo stesso pericolo, lui era più furbo, per questo sopravviveva ancora tra i vicoli sporchi di quella grande città. Meglio restare nascosti, meglio evitare di finire male come il suo compagno di un tempo.

Un automobile di piccola cilindrata arriva dal lato opposto del vicolo e si ferma nel piccolo piazzale spegnendo le luci.

Mentre l’uomo in nero si volta gettando la sua sigaretta, dall’automobile smonta un altro uomo con una ragazzina addormentata tra le braccia.

“Ce l’avete fatta” dice l’uomo in nero, “Problemi?”.

“Figlio di puttana!” grida l’altro, “Non potevi avvisarci su quei bastardi? Aldo si è fatto beccare! Quando sono sceso con la ragazzina e non l’ho visto arrivare ho capito che era successo qualcosa! Poi due di quei fottuti sono sbucati dal portone e me la sono svignata!”.

“Potevi ritornare per dargli un mano, non è così che fanno gli amici?” replica l’uomo in nero ridendo.

“Il gas che ci hai dato non ha fatto effetto!” grida l’altro, “Ce li siamo ritrovati addosso e…”.

“Chiudi quella cazzo di bocca!” grida l’uomo in nero, “Dove sono le statuette che ti avevo chiesto?”.

“Non…non c’è stato tempo, si sono svegliati…”.

L’uomo in nero ha un gesto di stizza e prende a calci uno dei cassonetti dell’immondizia lì vicino facendolo quasi ribaltare, “Maledizione!” urla, “Ed io che cosa ci faccio adesso con questa stronza, me lo dici!?”.

L’altro lo fissa in silenzio, dopo, quando l’uomo in nero allunga le mani, gli consegna la ragazzina senza parlare.

“Con lei però ha fatto effetto” borbotta calmo l’uomo in nero prima di sfoderare una pistola da sotto la giacca e sparare all’altro uomo, “Così impari a fare solo metà del lavoro che ti era stato chiesto” aggiunge, “Adesso mia cara, ci faremo un bel viaggetto e poi, beh, mi inventerò qualcosa” dice riprendendo a ridere mentre si avvia alla sua automobile.

 

 

 

 

Il Nonno cammina nervosamente nel corridoio davanti alla cucina mentre gli altri, seduti al solito tavolo, cercano di riprendersi dal torpore del gas e fare il punto sulla situazione.

“Ho la testa che mi scoppia” dice il Pastore.

“A chi lo dici” borbotta Papà Nino.

“Chi diavolo li avrà mandati?” chiede il Tetto fissando Mr.P che scuote la testa.

I due erano i soli a essere liberi dall’effetto del gas, ma nei loro volti c’era la stessa stanchezza: erano stati presi alla sprovvista e qualcuno li aveva fregati.

“Non sei tu che dovresti dircelo?” fa il Mast massaggiandosi la testa.

“Sapete già come la penso” risponde l’altro.

“E allora cosa cazzo ci facciamo ancora qui?” sbraita il Nonno irrompendo nella stanza, “Mettiamo a ferro e a fuoco questa cazzo di città! Rivoltiamola come un calzino e riprendiamoci Aurora!”.

Il gas stordente non sembrava più avere nessun effetto sul Nonno, il suo viso emanava la ferocia e la collera più autentica perché gli avevano tolto l’unica cosa che lo aveva fatto sentire veramente vivo in quell’ultimo anno.

E la rivoleva a tutti i costi.

“Calmati” gli dice Papà Nino, “A questo punto mi sembra evidente che qualcuno vuole servirsi di lei per completare quel cazzo di rito”.

“E allora che aspettiamo!” incalza il Nonno battendo un pugno sul tavolo, “Andiamo a prenderla!”.

“Dobbiamo partire per l’America” afferma il Tetto.

“Che cazzo ci andiamo a fare, me lo spieghi?” gli chiede inviperito il Nonno.

“Abbiamo le otto statuette, non le hanno prese, per cui senza non potranno farle nulla”.

“E noi dovremmo andare lì a consegnarle?” chiede il Pastore.

“Chi dice di farlo?” replica il Tetto, “Ci prendiamo le altre quattro e recuperiamo Aurora”.

“Come facciamo a sapere che è lì?” chiede Mr.P, “Per come la vedo io potrebbe essere stati anche i proprietari dei soldi che abbiamo rubato a farci questa visita notturna”.

“Ci avrebbero ammazzati e preso i soldi” risponde Papà Nino, “Ho controllato, sono tutti a loro posto nel sacco dove li abbiamo lasciati”.

“E se non avessero avuto tempo?” ribatte l’altro.

“Quello stronzo che è fuggito è venuto a prendere Aurora” dice il Mast, “L’ho visto con i miei occhi. Se avessero voluto ucciderci o prendere i soldi non sarebbero entrati nella nostra stanza”.

“Ma non capisco allora” aggiunge Mr.P, “Perché rapirla per il rito e lasciare le statuette qui?”.

“Forse non sanno che le abbiamo” suggerisce il Tetto.

“Forse vogliono che recuperiamo le altre” fa il Pastore.

“E allora forse conviene aspettare” dice Papà Nino.

“Non aspetto un cazzo!” urla il Nonno e cerca di uscire dalla stanza, ma il Mast lo ferma bloccandogli la strada.

“Ragiona, non fare cazzate adesso che hai bisogno di essere lucido” gli dice, “Dove vorresti andare? A chi credi che importi di una ragazzina senza un passato e senza una storia. Chi ti aiuterebbe?”.

Il Nonno lo afferra per la maglietta e lo solleva, “A me!” ringhia, “E anche a voi dovrebbe importare!”.

“E ci importa, cazzo! Non lo capisci?” ribatte nello stesso tono il Mast.

Il Nonno lo lascia andare, poi si siede nervosamente e si porta le mani alla testa.

“Vuoi fidarti di me?” gli chiede il Tetto.

“Sai che ci devi fare con i tuoi sogni?” dice il Nonno in un mormorio.

“Vuoi fidarti di me?”.

Il Nonno alza la testa e lo fissa, poi guarda gli altri uno ad uno e vede nei loro occhi determinazione e freddezza.

C’è silenzio in quel momento, un silenzio profondo e carico di rabbia. Deve fidarsi, può farlo, deve. Ancora una volta.

Abbassando leggermente la testa annuisce.

“Cerchiamo di dormire per quanto è possibile” suggerisce Papà Nino alzandosi, “Domani abbiamo un bel po’ di cose da sistemare prima di partire”.

Mentre gli altri lentamente ritornano nelle loro stanze, il Nonno si alza e va alla finestra. L’aria è fredda, ma lui non la sente. Fissando la luna piena e lucente si accende una sigaretta e aspetta il giorno arrivare da lontano.

“Ovunque sei, ti troverò” dice.

Un randagio, nel buio, guaisce.

 

Raffaele Scotti

 

 

3 Commenti

  1. Ahahaha il Mast che non sa cos’è la rete ahahaha
    Bel capitolo, ma ci sono rimasta malissimo quando hanno preso Aurora!

    • Mia cara fedele lettrice sono contento che i personaggi “ti lascino” un segno! Questo è uno dei motivi per cui la storia mi soddisfa particolarmente. Aurora, purtroppo, fa parte di un disegno più grande e folle. Tuttavia, se hai “conosciuto bene” il Nonno, confiderei nelle sue parole: “Ovunque sei, ti troverò”…;)…

      • Assolutamente, confido nel Nonno e nell’importanza che ha Aurora per tutti loro! Continuerò a leggere con piacere.


Aggiungi un Commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Commento *

Nome
Email