Ritornare a vivere (Cap. 1)

La storia che vi sto per raccontare non vedrà principesse. Non vedrà principi azzurri e non vedrà draghi cattivi, ma vedrà guerriere, vedrà tradimenti, torture, e guerre.

La storia che sto per raccontarvi viene da molto lontano, da un mondo che non ci appartiene, un mondo a cui non siamo collegati; un mondo diverso, ma allo stesso tempo simile. Lì la luce brilla come da noi, la notte è oscura come da noi, le stelle brillano come da noi, ma i suoi abitanti non ci somigliano, non del tutto, almeno.

Lì le persone hanno una doppia natura, la prima, umanoide, comune, senza difetti se non quelli della normale natura umana; ed una seconda, dove la vera indole esce allo scoperto, in una forma primitiva, animale, feroce, il più delle volte.

Se deciderete di seguirmi, vi farò conoscere questo mondo, dove la terra è divisa tra la progenie dei primi figli degli dèi, la stirpe dei secondo geniti e gli scarti degli esseri immortale, dove i caduti sono tornati per la loro vendetta, e niente li fermerà, tranne la pura volontà.

Ma non sono gli unici a cercare la rivalsa, la progenie della luna non aspetta altro che avere il sangue dei malvagi a irrorarle la bocca, vuole banchettare, divertirsi con i prigionieri che farà, torturandoli fino allo stremo. Vuole affondare i denti nelle loro gole e gli artigli nei loro stomaci.

Se tutto questo non vi ha spaventati o disgustati allora venite con me, a conoscere anche i lati magici di quel mondo apparentemente rigoglioso che nasconde creature meravigliose e terribili. Un mondo dove ogni legge sembra essere stata stravolta per costruirne altre, più o meno ragionevoli. Un mondo dove il marcio è nascosto dalla gentilezza e la monarchia privilegiata sembra solo un’ombra indistinta sopra di noi.

Seguitemi, mentre vi racconto la storia della protagonista, figlia orfana e sorella senza fratelli, guerriera senza spada, potente debole donna.

Seguitemi, quel mondo ci aspetta a braccia aperte, e spera possiate rimanere abbagliati dalle sue meraviglie e non badiate alla cattiveria che cela, quindi, se vi avventurerete con me, vi prego di fare attenzione a non lasciarvi ingannare.

Benvenuti su Ferneus.

 

Il cielo torbo di quella gelida mattina preannunciava una nevicata feroce nelle prossime ore, le creature della foresta erano saggiamente rimaste rintanate nelle loro calde e accoglienti tane, lasciandosi cullare dal silenzio che la nevata della notte precedente aveva portato.

Una sola creatura si muoveva tra i possenti alberi che si alzavano di diversi metri sopra di lei, silenziosa come un’ombra, alla ricerca di qualcosa che potesse soddisfare il Klem e permetterle di passare la nottata in pace senza sentire quei mocciosi lamentarsi di come non avesse provveduto alla sopravvivenza di tutti; per sua sfortuna gli dei sembravano irremovibili e non l’avevano graziata con niente di più di un topo, un pasto, certo, ma che non avrebbe soddisfatto nessuno.

Continuò a camminare tra la neve gelida che andava a bagnarle i fianchi neri e la pancia bianca, il naso puntato sul terreno alla ricerca di qualche forma di vita abbastanza grande da saziare una ventina di carnivori diversi.

Le orecchie della lupa si alzarono dritte come antenne, quando sentì la neve venire schiacciata con foga da degli zoccoli provenienti da nord.

Il canide aprì la bocca ed inspirò profondamente, ogni odore riportava ad un dato importante per quella caccia: il cervo era una femmina, l’odore di sangue veniva da una ferita alla coscia destra dell’erbivora, l’odore di felino la seguiva a poca distanza.

Quegli idioti. Ringhiò sistemandosi sottovento, fuori dalla traiettoria dell’animale terrorizzato.

Quando i loro cammini si incontrarono, per la cerva non vi fu scampo, l’istinto del predatore vinse su quello della fuga e i denti della carnivora si macchiarono di rosso.

 

L’avevano persa dannazione! La mente del puma color nocciola continuava a urlare in preda alla rabbia e alla frustrazione; erano andati a caccia sperando di portare qualcosa al Klem ed erano finiti per farsi scappare una cerva indifesa come dei dilettanti! Come avevano potuto?!

-Fratello! Di qua! – il ruggito del proprio gemello lo fece tornare a focalizzarsi sulla traccia che stavano seguendo e che andava sempre di più a prendere l’odore del sangue, segno che qualcuno aveva effettivamente ucciso quella femmina. I muscoli si fletterono sotto la morbida pelliccia quando spiccò un salto in avanti e recuperando il terreno che aveva perso rispetto al fratello. Insieme corsero nella neve e tra gli alberi, raggiungendo presto il luogo dove l’odore si faceva più intenso, insieme a quello di cane e morte.

La trovarono a torreggiare sulla carcassa esanime, una pozza di sangue a macchiare la candida neve sotto il corpo del cervide con la carotide recisa; lo sguardo della loro genfie puntato sulla selvaggina, in un silenzio contemplativo di ringraziamento per quella caccia fruttuosa.

-Ehi! – la chiamò il maschio marrone con un ruggito di ira, costringendola a spostare gli occhi verso di loro e facendo correre lungo le loro schiene un brivido di paura, tutti temevano quello sguardo, l’occhio destro della lupa, di un chiarissimo azzurro molto simile a quello di un lago ghiacciato era l’esatto opposto del destro, rosso come il sangue che macchiava il terreno sotto di loro, il solo guardarla faceva sprofondare un oblio.

-Quella è la nostra preda! – insinuò il coguaro dopo aver ripreso un minimo di coraggio.

  • Non ho intenzione di rubarvela infatti. – rispose quella con voce atona e profonda scendendo dal corpo senza vita e leccandosi le labbra dal sangue -Potete portarla pure al Klem e lasciare che gli altri pensino che è opera vostra, non mi importa, sinceramente. –

  • Maledetta…! – ringhiò il bruno digrignando i denti -Non guardarci dall’alto in basso, Cristal! – la avvertì. La femmina non sembrò scomporsi e diede loro le spalle, allontanandosi verso sud

  • Non lo farò quando sarete in grado di cacciare senza avere uno di voi a reggere il moccolo dell’altro. – provocò senza cambiare minimamente il proprio tono.

Prima che quella piccola scaramuccia potesse degenerare in una lotta impari Cristal sparì tra i cespugli, ignorando le maledizioni che il puma marrone le lanciava e lo sguardo vagamente dispiaciuto del gemello dal pelo argenteo.

 

Non aveva mai avuto intenzione di prendersi il merito di quell’uccisione, a confronto di altri lupi o dei suoi genfie lei cacciava da sola e non aveva intenzione di collaborare con nessun altro, ma sapeva anche che quella cerva sarebbe fuggita e il Klem si sarebbe ritrovato senza un ottimo pasto e in un inverno come quello non sarebbe stato conveniente.

Con la mente di nuovo indirizzata sulla caccia, si diresse a nord, verso le montagne che si stagliavano nel cielo.

Il sole aveva raggiunto il suo punto più alto quando arrivò ai piedi della catena montuosa, seguì il valico in silenzio, verso ovest, dove c’erano i fiumi, il naso sul terreno alla ricerca di qualche odore che potesse guidarla verso la sua prossima preda; questo era uno dei vantaggi nel cacciare da soli: il mondo circostante non sembrava badare granché a lei e poteva muoversi senza qualche incapace a rallentarla; il più grande difetto di questo stile di caccia, però, si trovava a valle del lago che stava costeggiando da lontano dopo aver raggiunto il punto di unione tra due delle maggiori catene montuose; lì due grossi cervi si lanciavano bramiti di sfida e scontravano le corna tra loro in una lotta per il territorio abbastanza accesa; in quel frangente, per un branco sarebbe stato facile attaccare e uccidere uno dei due contendenti, ma lei era sola, e due prede così grosse l’avrebbero calpestata e incornata in un attimo se l’avessero percepita.

Con un ringhio sommesso tornò ad addentrarsi nella foresta, forse qualche divinità l’avrebbe graziata con qualcosa da riportare al campo.

 

La caccia alla fine fu fruttuosa, non come un cervo, certo, ma aveva catturato due lepri delle nevi alla ricerca di cibo, vittime infauste dell’inverno e dei suoi denti.

Ed ecco che arrivava il momento più difficile della giornata: tornare al campo. Era sempre più frequente che le sue zampe rallentassero la marcia fino a farla bloccare in mezzo alla foresta e costringerla a guardarsi intorno, facendole chiedere cosa ci facesse davvero in un Klem di orfani, o meglio, perché fosse ancora lì? Perché si faceva maltrattare dai suoi stessi genfie e permetteva tutto quello?

Ironica la mente di qualcuno come lei, che come ogni orfano di Ferneus era stato una vittima di un infame gioco del destino e si attaccava a ciò che aveva di più vicino e cercava in tutti i modi di tenerselo stretto, per Cristal quella cosa particolare, anzi, quella persona, era una bambina di poco più di sei anni, dai capelli bianchi e gli occhi gialli che da quando si erano incontrate la prima volta, entrambe avevano creato un legame in modo indissolubile l’una all’altra, e per Cristal quella bambina era l’unica ragione per cui l’aria entrava ancora nei suoi polmoni.

Con un profondo respiro la lupa nera si fece forza per riprendere a camminare verso il Klem, le prede strette nelle fauci e lo sguardo stanco e vacuo, dietro di lei, il sole mandava i suoi ultimi raggi morenti, lasciando spazio alla sera, salutando quella sua figlia solitaria e triste.

 

Quando arrivò all’entrata del campo, l’odore di legna bruciata era già forte e prepotente, probabilmente molti avevano iniziato a mangiare, e lei era in ritardo. La lupa si guardò attorno alcuni secondi prima di dirigersi vicino ad un pino dal tronco cavo, l’ennesimo sospiro le lasciò le labbra e mollò nella neve le due lepri; lentamente, il corpo iniziò a mutare, l’aria venne pervasa dal suono di ossa che si rompevano sotto la pelle, il pelo si ritirò nei follicoli lasciando solo una leggera peluria bruna sulla pelle scura come cioccolato, con un ringhio chiuse gli occhi eterocromi, quando li riaprì, l’occhio sinistro era identico a quello destro; la frangia della neo trasformata mutaforma cadeva scompostamente sulla fronte e una lunga treccia nera ruzzolò oltre le spalle.

Quando la trasformazione finì, Cristal si tirò su, addosso solo delle mutandine e un reggiseno di cotone nero; raggiunse il tronco cavo ed inserì una mano all’interno di una fessura tirando fuori un pantalone e una maglietta; si vestì in silenzio e riprese il suo bottino di caccia; entrò nell’arco di rovi e ginestre a testa alta, assottigliando gli occhi nel sentire il chiacchiericcio più forte del solito.

 

Il campo di quel Klem era particolare, molto più di qualunque altro che si potesse vedere sull’isola: un gigantesco spiazzo nel bosco, coperto da una cupola di rami e foglie meticolosamente legate tra loro da un gruppo di castori mutaforma che abitava più a sud, e, sugli alberi che costeggiavano lo spiano sorgevano le loro case, abbastanza in alto da non rischiare eventuali pericoli, abbastanza in basso da non percepire il freddo nonostante ogni casa fosse provvista di uno o due camini che scaldassero l’intera abitazione, ma per scaldarsi, almeno nelle ore dei pasti, tutti gli orfani preferivano il calore di tanti falò che decoravano quello slargo tra gli alberi; ognuno lì aveva un gruppo di amici o altri genfie che reputava dei fratelli ed era sempre un baccano gigantesco per lei che preferiva il silenzio al chiacchierio insistente e costante che le faceva venire un orribile mal di testa; in quell’occasione però le cose cambiarono.

Appena l’adocchiarono, il silenzio calò con pesantezza su tutti i suoi compagni che iniziarono guardarla intensamente; un brivido di allarme le corse lungo la schiena mentre istintivamente le gambe si divaricavano e i piedi affondavano nella terra brulla, solo un’altra volta l’avevano tutti guardata in quel modo ed era…

 

-Cristal. – la voce acuta la fece distrarre e voltare la testa verso il capo di quel Klem: Kairy De la Torres; donna sui quarant’anni dai fiammanti capelli rossi e gli occhi arancioni, nascosti dietro degli occhiali dalla montatura a mezzaluna era il Vessel di quel branco di casi disperati, ed era una delle persone che Cristal sopportava a malapena.

-Cosa vuoi? – la domanda le era uscita meno velenosa di quanto avesse voluto, ma era stanca e non aveva energie per discutere con quella maledetta lupa rossa

  • Sono stata contattata dalle Steppe, venticinque anni fa, una famiglia di sciacalli ha adottato un cucciolo di lupo di cui si pensa che i genitori siano morti in circostanze…estreme- il modo in cui calcò quell’ultima parola fece capire a Cristal che la Vessel puntava a fare leva su quel fantomatico buon cuore che credeva che la mora avesse solo quando le serviva qualche favore particolare.

  • Buon per lui, immagino che gli sciacalli siano meglio dei serpenti- la freddò atona assottigliando gli occhi

-Non mi stai seguendo, mi hanno contatta perché il ragazzo non sa controllare il proprio simalde, anzi, mi ha contattata lui stesso, chiedendomi se potessi aiutarlo ad evitare che la sua famiglia venga ferita da un improvviso risveglio del lupo-

-Non capisco cosa c’entro io, non sono una babysitter o una dannata balia, che la madre sciacallo si dia da fare per far imparare a suo figlio come si sopravvive nel mondo dei grandi, così magari eviterà che la sua famiglia venga trasformata in qualche setta di Fersitier.- sibilò aspra – sappiamo poi a chi tocca la pulizia di certe cose.-

  • Lo capisco, ma non puoi tirarti indietro, ho proposto te come sua insegnante e ha accettato, arriverà domani.-

Il silenzio che calò nel campo era così carico di tensione che si poteva tagliare con un coltello, gli altri orfani passavano lo sguardo da Cristal a Kairy, pronti ad intervenire per proteggere la Vessel, le due invece non si staccavano gli occhi di dosso e sembravano sul punto di scannarsi a vicenda tanto le loro energie si alzavano con forza.

Cristal era stanca, sentiva la testa pulsarle dal nuovo mal di testa che le era venuto e la notizia di dover pensare ad un ventenne che ancora non sapeva come controllarsi la mandava in bestia; ma non era stupida, sapeva che se avesse osato alzare un solo artiglio sulla leader si sarebbe ritrovata tutti contro, e per quanto la sua forza fosse invidiabile e fosse tra i membri più forti di quel Klem, era in svantaggio numerico, senza contare che la bambina a cui era tanto legata la guardava da uno dei falò. Kairy era stata davvero astuta a dirglielo in quel frangente, glielo concedeva, a meno di un giorno dall’arrivo del fantomatico lupo, circondata da molti mutaforma che potevano trasformarsi in nemici e con la sua favorita poco distante che avrebbe visto la sua protettrice macchiarsi di un omicidio plurimo. Davvero astuta.

-Va bene. – sibilò alla fine fulminando la rossa con quanto più rancore potesse, godendosi il modo in cui la donna si irrigidì e fece istintivamente un passo indietro – Ma se perde il controllo e non torna in se lo ucciderò, se arriva in ritardo a qualche allenamento lo caccerò personalmente a calci in culo fino alle steppe. Io non ho tempo da perdere con gli idioti che non sanno come controllare il proprio simalde – pattuì ringhiando prima di voltarle le spalle, stringere per le orecchie le due prede e allontanarsi verso l’unico rogo che contava solo due persone.

-Ci hai messo di nuovo un’eternità…- le fece notare l’uomo dai ribelli capelli neri seduto su una delle panche che circondavano il fuoco, il volto quadrato e il corpo tutti muscoli tradiva il suo essere un orso, benché il suo comportamento non lo lascasse intendere,

-Scusami Tekji, ma diventa sempre più difficile tornare…- sussurrò quando gli passò a fianco per sedersi un po’ più distante da lui e vicino alla bambina di cui abbiamo già raccontato – ma almeno ho portato la cena…- sviò passando al genfie le due carcasse

-Non male…- le concesse iniziato a spellarle.

Cristal si concesse di girarsi verso la bambina che la guardava offesa con le guance gonfie come quella di una ranocchia gli occhi ambrati sottili come spilli.

-Ehi, Blizzard…- provò delicatamente, venendo bloccata da un ringhio della mocciosa

-Me lo avevi promesso! – gridò infatti, incrociando le braccia al petto e fulminandola -Mi avevi promesso che mi avresti portata con te! –

-No, io avevo detto che ti avrei portata con me in futuro, andare a caccia insieme sarebbe rischioso per te, sei ancora piccola. –

-Ma tu cacciavi quando avevi la mia età! – ribatté testarda

-Ma la situazione era diversa, quando ero piccola io o imparavi in fretta o morivi ancora più in fretta, non avrei mai voluto imparare a cacciare così- spiegò seria, forse era stata un po’ troppo diretta, ma Tekji non disse nulla e si limitò a rivolgerle un’occhiata di sostegno mentre infilzava la carne su un ferro ad uncino e la metteva sul fuoco; sapevano entrambi che quella era la pura e cruda la verità che almeno metà degli orfani adulti di quel Klem avevano vissuto e che indorare la pillola non sarebbe servito a nulla.

-…Va bene…- biascicò dopo un po’ la cucciola abbassando lo sguardo. Cristal sospirò scompigliandogli i capelli con le dita sottili, lasciando che la bambina si appoggiasse a lei e la abbracciasse

-Ti prometto che un giorno andremo a cacciare insieme, devi solo avere pazienza- promise in un sussurro, tornando a guardarla – ed ora, dimmi chi devo uccidere per averti regalato un completo di pelle come quello. – sibilò poi assottigliando lo sguardo e puntando gli occhi glaciali sui pantaloni e la maglietta che la piccola indossava; in realtà aveva una vaga idea di chi potesse essere l’idiota che aveva regalato a Blizzard un completo del genere, ma preferiva essere sicura di non sbagliare bersaglio

-Oh! È stato papà! E ha scritto che presto sarà a casa! – ululò contenta l’albina con un sorriso pieno di gioia, tipico dei pochi bambini che tra loro avevano ancora un genitore che vegliava su di loro.

Come pensavo ringhiò nella sua mente la donna tornando a guardare il fuoco con biasimo, come potesse vedere la faccia del padre della sua protetta davanti a se, con quel maledetto ghigno e quella faccia che desiderava da sempre riempire di pugni, si disse che se avesse mantenuto la promessa fatta alla figlia probabilmente presto avrebbe avuto la soddisfazione di farlo. E ci avrebbe messo molto tempo, il giusto per goderselo, forse un paio di settimane di calci e pugni in faccia.

-Il piano di tentato omicidio non ti si addice. – la risvegliò Tekji tirando fuori dal fuoco la carne perfettamente abbrustolita, passandone un pezzo alla bambina, che non sembrava per nulla turbata dall’argomento appena intavolato; prima di porgerlo alla genfie dai capelli neri – Sei più tipo da attaccare a testa bassa finché Aramis non sarà morente e pieno di ferite. – provò a scherzare nonostante l’inflessione del tono pacato che lo caratterizzava.

-Mi conosci troppo bene. – gli riconobbe Cristal con uno sbuffo divertito, prendendo un pezzo della carne ed iniziando a masticarlo.

-Già, vent’anni che mangio con te e vent’anni che ti salvo la pelliccia ogni volta che serve-

-Avere un ralofta orso ha i suoi vantaggi- imputò mangiando tranquilla. L’orso si lasciò scappare un ghignetto divertito, concedendole quella vittoria di frecciatine che ormai si scambiavano come fosse acqua corrente e lasciando cadere il discorso; sapeva benissimo quanto Cristal odiasse il Klem, glielo aveva raccontato lei stessa, e anche se non l’avesse fatto, quella ragazza era un libro aperto per lui. Tekji sapeva che il Klem non era mai stato destinato a persone come lei, e quello che Cristal aveva passato negli ultimi tre anni l’aveva logorata con il senso di colpa e il rimpianto di tante cose che avrebbe potuto fare ma che non era riuscita a realizzare davvero, e il ventiquattro novembre di tre anni prima, la gentilezza di Cristal era sparita definitivamente, lasciando dietro di se solo una profonda sete di vendetta. Ma questo, lui sapeva, l’avrebbe portata ad una morte ancora più dolorosa di quella che aveva vissuto; ma infondo, Tekji non poteva interferire, lui stesso era stato logorato da quella sete, e sempre quel fatidico giorno di novembre, era riuscito a dissetarsi dopo trent’anni di aridità.

 

La loro cena si concluse molto più in fretta di quella degli altri, dopo aver finito di mangiare i tre si salutarono e si diressero verso i rispettivi alberi dove le loro case erano costruite. Ignorata da tutti, Cristal si avvicinò al possente tronco di un pino e ne osservò la corteccia prima di tirarvi un pugno, sbucciandosi le nocche della mano destra. L’albero non parve risentire del colpo ma dalla folta chioma si srotolò una scaletta di legno e corde che dondolò una volta arrivata a terra.

La lupa salì in silenzio, fino a raggiungere la piattaforma di legno liscio che formava la base della sua casa; i piedi scalzi, che fino ad allora avevano toccato solo il terreno morbido ma freddo dello spiazzo, le mandarono un vago tremore di soddisfazione lungo le gambe. Silenziosa come era sempre stata la mora entrò nella casa venendo accolta dal piacevole calduccio che il camino lasciato acceso aveva creato, probabilmente opera di Blizzard.

Camminò lungo l’ingresso e poi al salone raggiungendo il caminetto in cui le braci morenti andavano ad illuminare leggermente la stanza; si diresse al tavolo per quattro persone e accese la lanterna a gas il cui vetro riluceva leggermente. Non badò ad altro, si limitò ad andare nel piccolo corridoio, superando una porta chiusa e rovinata per entrare in una stanza piuttosto piccola, tanto che le uniche cose presenti erano un’amaca attaccata con quattro picchetti da parte a parte della stanza ed un armadio pieno di graffi e abrasioni. Si tolse i vestiti con lentezza e si sistemò sul suo giaciglio, osservando il soffitto di legno senza realmente vederlo, sperando che il sonno potesse prenderla presto e regalarle un po’ di riposo dopo quattro giorni continui di insonnia.

 

Il respiro le si mozzò in gola facendola tirare su di scatto, rischiando di farla cadere per terra vista la velocità con cui lo fece, si guardò le mani tremanti e sudate, la vista appannata da lacrime mal trattenute e sentì la fronte grondare di sudore; aveva dormito, alla fine, ed era stata perseguitata da incubi terribili da cui non era riuscita a scappare; ansimando scese dall’amaca con le gambe che le tremavano come avesse corso per giorni.

-Dannazione…- ringhiò tra la rabbia e il panico -se continua così rischierò di impazzire…-

Uscì dalla stanza aggrappandosi alle pareti, spaventata che le gambe non la reggessero del tutto, ed entrò nel bagno di quella casa. Controllò velocemente che il serbatoio dell’acqua posizionato sotto il lavandino fosse pieno e aprì il rubinetto in ottone, diete il tempo all’acqua di diventare il più fredda possibile e vi mise la testa sotto di scatto, rabbrividendo alla sensazione di gelo che si propagava per la cute bagnandole i capelli.

Quando si tirò via, i capelli ormai erano zuppi, ma almeno si era risvegliata del tutto e aveva bloccato ogni ricordo degli incubi che aveva avuto; un procedimento pericoloso, ma che ancora funzionava e le evitava ogni tipo di attacco di panico che potesse avere. Prese un asciugamano al mobiletto affianco al lavandino e si tamponò i capelli cercando di togliere la maggiore quantità di acqua possibile, poi, con il panno legato alla base della cute a creare una sorta di fascia che le coprisse l’intera testa, andò nell’angolo cottura del soggiorno e mise a fare il tè.

A preparazione finita, il cielo era rosa per l’alba e l’abitazione era pervasa dalla fragranza di lavanda e limone, una monotona tazza bianca fumava, la sola delle due poggiate sul bancone che era stata riempita quasi fino all’orlo; a ben guardare però, la seconda tazza, rosa e piena di margherite sembrava non essere usata da tantissimo tempo tanta era la polvere che aveva intorno e dentro, in più sembrava non essere mai stata spostata da quel ripiano, come fosse rimasta incollata; Cristal gli rivolse un’occhiata fugace, prima di prendere la propria, monotona, tazza e appoggiarsi al lavandino della cucina, iniziando a bere l’infuso con lentezza, non aprì mai gli occhi mentre sorseggiava la bevanda, dopo quella notte sapeva che sarebbe stato un errore, i ricordi sarebbero stati più vividi del solito e avrebbe rischiato di essere trascinata in qualche flashback del passato che non voleva vedere, il passato doveva restare dove stava, e lei doveva cercare di andare avanti come poteva. Si riempì la tazza un altro paio di volte, finché il pentolino non fu completamente vuoto; quando quella routine finì il sole era ormai alto, i suoi capelli completamente asciutti, e molti dei genfie erano già svegli, ma si stupì lo stesso nel sentire qualcuno bussare alla porta. Confusa andò ad aprire, nessuno veniva a farle visita, tranne Blizzard, ma a lei non serviva bussare per entrare in casa della lupa.

 

Trattenne a stento un ringhio quando vide la faccia della Vessel osservarla tranquilla, senza dubbio non era la prima persona che volesse vedere al mattino, o durante il giorno in generale, ma al mattino ancora meno.

-Cosa c’è? – chiese velenosa con gli occhi ridotti a due fessure

-Buongiorno anche a te – provò a scherzare, vedendosi però rifilare un’occhiata omicida, sospirando la donna si sistemò gli occhiali sul ponte del naso- Il ragazzo è arrivato, ti aspetta giù-

La notizia colpì la giovane come un fulmine a ciel sereno: dopo la nottataccia che aveva passato, il lupo che non sapeva controllarsi era volato fuori dalla sua mente come un uccellino da una finestra; ma fece attenzione a non farlo notare.

  • Arrivo subito…- annuì iniziando a richiudere la porta

-Hai avuto un altro incubo? – chiese a bruciapelo la rossa, guardando Cristal dalla fessura che la porta aveva lasciato

-Non sono affari che ti riguardando Vessel. – ringhiò, calcando l’ultima parola con quanto più astio potesse, sbattendole la porta in faccia.

 

 

-Dice che arriverà tra poco, non ci aspettavamo arrivassi in mattinata. – la voce squillante e allegra della Vessel distrasse il povero nirvata dallo studio che stava facendo di quel Klem e dal pensiero che, se fosse stato trovato nella foresta, probabilmente sarebbe stato portato lì, e forse non si sarebbe sentito così spaesato, si chiese se ogni nirvata che arrivava al Klem degli orfani si era sentito così disorientato.

Il giovane guardò la donna, gli occhi verdi oscurati dai ricci color nocciola scrutarono la figura slanciata con un misto di paura e dispiacere

-Chiedo scusa…avrei dovuto avvertire…- biascicò imbarazzato

-Oh non chiedere scusa, presto saremo noi che dovremo scusarci per i modi di Cristal, non è propriamente un pezzo di pane- ridacchiò la rossa

-Posso chiederti…è vero quello che dicono…? Che Cristal ha…-

-Noi non ne parliamo, qualunque cosa sia successa quel giorno è il passato, ed il passato deve restare tale, devi solo trovare la volontà di andare avanti.- lo freddò con gentilezza, facendogli intendere quanto quell’argomento fosse un tabù e che probabilmente non sarebbe dovuta essere la prima domanda che avrebbe dovuto rivolgere all’unica lupa che aveva accettato la sua richiesta di aiuto dopo che tutti l’avevano rifiutata.

Il leggero tonfo che sentì provenire dal pino da cui era arrivata la capobranco lo fece voltare. Il gelo si impossessò di lui quando vide gli occhi freddi della sua futura allenatrice, e non parlava solo del fatto che fossero di un azzurro così chiaro da sembrare pezzi di ghiaccio incastonati in un volto scuro, ma della rabbia e della freddezza che traspariva da essi. La vide avvicinarsi a testa alta e si permise di osservarla: da lontano gli sembrava altissima, ma più si avvicinava, più la sua statura si faceva minuta, il maglione nero dal collo alto le fasciava il corpo tonico e muscoloso, di certo non era così che la descrivevano le voci che percorrevano l’intera isola di Ferneus e che la dipingevano come un energumeno che di femminile non aveva niente e che era ben predisposta a staccarti la testa a mani nude se solo osavi rivolgerle la parola, in realtà, occhi a parte, non sembrava spaventosa.

-Eccomi. – la voce monocorde usci dalle labbra carnose della giovane come qualcosa di estremamente ovvio – tu devi essere il nuovo arrivato, il nirvata, quello che non sa controllare il simalde. – sibilò, costringendolo ad annuire; ok, si rimangiava tutto, faceva paura. -quanti anni hai? –

-ventotto…- pigolò con la testa bassa il castano

-ventotto? Hai quasi trent’anni e ancora non ti sai controllare? È una cosa oscena oltre che estremamente pericolosa. – berciò la mora fulminandolo – che cosa vi insegnano alle steppe?! Ad inseguire le lucciole?!-

-Cristal…calmati…-provò a placarla Kairy, ritrovandosi ghiacciata da un’occhiataccia

-Non dirmi di calmarmi, Vessel. Ho accettato questo stupidissimo compito solo perché non voglio occuparmi di un branco di Fersitier composto esclusivamente da carnivori. – sibilò per poi tornare a guardare il ragazzo -visto che la Vessel di questo Klem non ha chiamato una ditta che possa costruirti una casa, immagino che voglia che tu viva da me. Mi sta bene. Ma sia chiaro – mormorò avvicinandosi tanto da arrivargli a sfiorare il petto -tu dormi lì, ma se ti azzardi a curiosare in giro per casa mia ti strappo la colonna vertebrale e mi ci faccio una collana. Sono stata chiara? – ringhiò fissandolo in cagnesco. Di nuovo, il ragazzo fu costretto ad annuire, terrorizzato dall’energia bestiale che si alzava dalla quella donna minuta -Perfetto. – e si allontanò da lui voltandogli le spalle -hai tre minuti per portare tutte le tue cose nella camera degli ospiti, è quella alla destra del bagno, di fronte alla mia, poi iniziamo. – gli ordinò prima di guardarlo di nuovo, stavolta più pacata – come hai detto che ti chiami? – chiese con una vena di perplessità nel tono

-il mio nome è Ichiru…-biascicò imbarazzato, omettendo il fatto che le gli avesse concesso di presentarsi solo in quel momento, di certo non voleva infastidirla in alcun modo, men che meno il primo giorno

-Bene, Ichiru…- ripeté lei -Che diavolo ci fai ancora qui? Muovi il culo e vai a sistemare. Il tempo scorre ed io non ne ho. –

Il ragazzo annuì velocemente e prese l’unica valigia che aveva, scattando verso il pino che sarebbe diventato la sua nuova casa e chiedendosi in che guaio si fosse cacciato nel chiedere aiuto proprio ad una persona come Cristal.

 

HeartOfYoukai45

 

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