Quell’anello al dito – Carmela D’Auria

 

Flavia continuava a fissare la mano sinistra e il leggero tremore dovuto allo stato d’ animo incerto, le pieghe che solcavano il dorso, delicate e sincere tracce della sua storia: l’anello nuziale che restava l’unica memoria di trent’anni passati insieme e che le stava troppo stretto in tutti i sensi, scavava la carne e il cuore e la faceva sentire offesa.

Era davanti al supermercato, non era ancora scesa dalla macchina, continuava a tormentare quel dito, fino a farlo sanguinare e il dolore la riportò alla realtà e alla lista della spesa.

Come tutti i giorni, seduta per terra con i suoi vestiti variopinti, all’angolo dei carrelli, c’era Petra, una donna di origini slave, arrivata in Italia quando era ancora bambina, dopo la guerra nella sua terra e Cassandra, la figlia, aveva la stessa età di sua figlia, forse qualche mese in meno e in tutti quegli anni la aveva vista crescere, prima accanto alla madre, mentre rincorreva i carrelli della spesa e l’elemosina di qualche portafoglio pietoso, dopo, attraverso le foto che Petra le mostrava,  perché aveva deciso finalmente di mandarla a scuola: orgogliosamente sfiorava le immagini e sorrideva, piegando la bocca e gli occhi in modo tale da renderla bellissima.

Flavia la aveva sempre aiutata: i vestiti, i giocattoli, i libri che per sua figlia sembravano sempre pochi, alla giovane donna slava sembravano sempre troppi per Cassandra. Continuava a stringeva quell’anello che si stava trasformando in ossessione tra le dita, la mano sudata le recava fastidio, poi dolore, infine repulsione.

  • Buongiorno Petra – le allungò la mano come per salutarla e le porse quel magico cerchietto d’oro, che aveva perso ogni potere.

La donna pensava si trattasse di una moneta e continuò a fissare l’anello, incredula e meravigliata.

  • Comprati un vestito nuovo, porta Cassandra al mare, fanne ciò che vuoi, ma fa che possa essere almeno utile – le disse e se ne andò, dimenticando la lista della spesa.

 

 

Era passato un anno, Petra non si vedeva più davanti al supermercato; aveva chiesto alle cassiere, al direttore, ma nessuno ne sapeva niente.  – So’ zingari! – ribatté il magazziniere alle sue domande.

All’improvviso comparve di nuovo: una delle commesse la informò che aveva chiesto di lei, allora Flavia le lasciò il suo numero di telefono, pregandola di lasciarlo a Petra se l’avesse rivista.

Qualche giorno dopo ricevette una telefonata.

  • Bella signora (la aveva sempre chiamata così) io ho una cosa tua. –

  • Una cosa mia? – si meravigliò lei.

  • Il tuo anello – continuò – a volte si fanno cose di cui ci si pente. Le cose vogliono ritornare al loro posto, possono vendicarsi. –

Flavia dall’altra parte del telefono sorrise: – Non me ne sono mai pentita, è tuo. Le cose cercano giustizia, non vendetta.

 

 

Passò qualche mese.

Ricevette un’altra telefonata: era la questura che la invitava a recarsi nei loro uffici per informazioni.

Petra aveva portato l’anello in una gioielleria, ma non voleva venderlo, solo conoscerne il  valore.

  • Dove lo hai preso? – le chiese l’orefice.

  • È un regalo – rispose.

L’uomo osservò ancora più attentamente quella fede nuziale, con le dita passò sulla cesellatura altamente artigianale, all’interno erano incisi due nomi e una data, una data che conosceva bene, perché era stato proprio lui ad inciderla. Era Michele, compagno di corsi all’Accademia, che aveva disegnato e realizzato le fedi in oro etrusco per il matrimonio della sua amica Flavia.

Quando lo vide, appena arrivata in questura capì tutto e scagionò la povera donna da ogni accusa.

  • Tu sei pazza – la assalì il suo vecchio amico – come ti è saltato in mente di regalare un gioiello così prezioso ad una zingara!? –

Tra tante gioiellerie, proprio lì doveva capitare.

  • Cosa avrei dovuto fare, buttarla nel cesso, buttare nel cesso trent’anni della mia vita? Chiuderla in un cassetto per ritrovarla ancora tra i piedi fra altri trent’anni o venderla per quattro soldi ad uno meno onesto di te? Tanto valgono trent’anni? –

Stava per andarsene, quando l’ispettore di turno lo chiamò.

  • Signora, ha dimenticato questa – e le consegnò quel gioiello di gran valore che mai come allora le era sembrato così finto.

C’era la finestra aperta nel corridoio, che dava su quella fogna a cielo aperto che era il torrente Fenestrelle: non ci fu bisogno nemmeno di affacciarsi, lo lanciò con indifferenza da quella finestra centrando in pieno le acque del torrente.

  • Ora, se non finisce nel Sabato, che poi si va a congiungere con il Calore, che a sua volta si versa nel Volturno che sfocia nel mare di Gaeta e se nessun pesce la ingoia, se nessun pescatore pesca quel maledetto pesce per vederlo al mercato e se io mi guardo bene da comprare pesce per evitare di ritrovarmela sulla mia tavola, forse me ne sarò liberata per sempre – pensò.

 

 

 

 

1 Commento

  1. Interessante quanto un oggetto possa avere valore o perderlo completamente al di là del suo valore economico! Probabilmente lasciare quell’anello è stato per la protagonista come chiudere con il passato 🙂
    Povera Petra, pensavano l’avesse rubato! ahahaha


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