Ogni vita è come un libro bianco, che ad ogni azione, ad ogni vissuto si riempie di macchie di inchiostro che prendono forme di colori, di parole, di immagini e certe volte invece questo inchiostro rimane lì come una macchia scura che non va via, e che prende altra forma se no quella di un ammasso di nero, che rimarrà impresso in quelle pagine fino a quando quel libro non si sgretolerà tra le pieghe del tempo, portando con se quel nero, diventato polvere.
La mia storia nasce da una chiazza nera, prima di quel giorno ero un bimbo normale e felice, che sorrideva e viveva tranquillo con la sua famiglia, negli agi delle dolci coccole e piccoli vizi di genitori che ti amano. Un giorno mi fissai che volevo fare il pompiere, i miei mi regalarono un piccolo cammioncino che possedeva anche un piccolo idrante dal quale, se riempito d’acqua poi era in grado si spruzzarla. La fantasia di un bambino non ha mai fine, e spesso è legata a troppa ingenuità, non comprendendo i pericoli delle proprie azioni, oppure qualcosa sussurra alle nostre menti e ci porta a compiere gesti ai nostri occhi innocenti, ma che hanno più di quel che si crede.
E così mentre la mia amata madre riposava in camera dopo una pesante giornata, pensai che un pompiere non può svolgere il proprio lavoro senza del fuoco. Quindi esco fuori, prendo tanti legnetti e foglie secche, torno dentro, mi arrampico su uno sgabello per prendere i fiammiferi, torno in salone, prendo la mia casetta di plastica, metto tutto dentro e accendo un fiammifero. In un istante ebbi il mio perfetto incendio, la mia piccola sfida da affrontare come piccolo pompiere. Ero felicissimo per il risultato, se non fosse che l’istante dopo il tappeto su cui era poggiata la casetta prendo anche esso fuoco e poi anche la moquette, la tende in fondo alla stanza e il divano vicinissimo alla tenda. Rimango sgomento impietrito di quello che vedevo davanti i miei occhi, un mare di fuoco e di calore e la paura e l’incomprensione di cosa quel gesto innocente aveva creato. Ricordo che scappo e vado in cucina pensando che dovevo andare a prendere dell’acqua, mentre sono in cucina vengo sollevato da terra da qualcuno, era mio padre che tornato da lavoro vedendo il fuoco dalla finestra e corso su per le scale di casa e trovandomi mi porta fuori. Quella dolce casa si infiammò in una velocità senza limite, ricordo ancora la difficoltà a respirare per tutto il fumo che avevo preso e quel rosso acceso che è andato a bruciare e a carbonizzare ogni cosa di bello che c’era nella mia vita. Ricordo quell’urlo agghiacciante di mia madre che dalla finestra della stanza al secondo piano si era svegliata trovandosi circondata dalle fiamme, e ricordo benissimo le enormi spalle di mio padre che senza pensare scompaiono nell’uscio di quella casa, divorate dal fuoco senza mai più tornare indietro.
In una notte la mia vita, la mia bellissima infanzia era distrutta.
In una notte io avevo ucciso la mia intera famiglia.
Gli anni dopo li passai vivendo nel trauma di quel giorno, inizialmente mi avevano preso con se i miei nonni che per un altro breve periodo sono stati con me come altri due genitori, con loro ho imparato la tranquillità e la pachetezza, il saper ascoltare e osservare. Mio nonno era un professore di fisica ormai in pensione da anni, e lui mi spinse allo studio di questa scienza davvero profonda. Immerso nella sua biblioteca non so quanti libri complessi lessi, avevo la fortuna di avere una grande memoria fotografica, ricordavo sempre tutto, certe volte più che una fortuna era una vera e propria sfortuna perché non mi ha mai permesso di dimenticare i momenti più orribili della mia vita, e ne ho avuto molti per cui nemmeno l’alcool riusciva a quietare. Ma all’età di 13 anni anche loro andarono via dopo un incidente, un ponte che stavano attraversando in macchina cedette e loro morirono nel crollo, lasciandomi profondamente solo.
Quell’evento fu me per me la goccia che fece traboccare il vaso, iniziai a pensare che fossi io il problema, che fossi maledetto o qualcosa del genere, non era possibile che tutte le persone a me care morissero a causa di incidenti assurdi! I sensi di colpa tornarono a galla a mano a mano che crescevo e la mia coscienza mi permetteva di comprendere cosa avevo fatto ai miei genitori, i sensi di colpa erano tali che ho provato diverse volte a togliermi la vita, inutilmente, perché sono sempre stato un codardo, che scappava dall’evidenza. Gli anni dopo li ho passati in un collegio, ormai del tutto orfano, non avevo nessuno che si potesse prendere cura di me, avevo solo la mia mente, la mia intelligenza e per questo mi buttai a capofitto nello studio, seguendo la strada di mio nonno, decisi di studiare fisica come materia principale all’università.
Mentre mi immergevo nello studio inciampai in un concetto che per me fu qualcosa che potrei definire un ossessione, un ossessione pura che potesse darmi vera redenzione ai fatti accadutemi, lo studio del “Tempo” o meglio dei viaggi nel tempo. Non potevo fare a meno di credere nella loro esistenza, se l’uomo era riuscito a fare cose che secoli fa pensava impossibili, come volare e andare sulla luna, perché i viaggi nel tempo non potevano essere possibili? Forse oggi non abbiamo gli strumenti per poterli comprendere e quindi compierli, ma questo non vuol dire che non siano possibili!
Nella mia vita oramai non esisteva altro che lo studio, il resto era futile, il mio sguardo era fisso sui miei calcoli, sui miei appunti, sui libri, non esisteva giorno o notte, non esisteva piacere, io volevo andare nel passato e fermare quel bimbo dal compiere quel gesto infame.
Eppure la vita o il karma, è davvero infame, perché mi fece riassaporare la gioia di vivere e soprattutto l’amore.
Una mattina come le altre mi stavo recando al campus universitario con la mia bici, alcuni volumi nel cestino e lo zaino in spalla. Mentre camminavo fui distratto da un bagliore, mi voltai per un attimo e la vidi, seduta su di un tavolino, vestita di bianco, avvolta da quella luce così splendente del mattino, con i suoi lunghi capelli biondi mossi, che erano come onde che facevano di contorno a quel viso splendente mentre rideva con le amiche. Non riesco ad immaginare quale buffa espressione potevo avere in quel momento, ma ero come estasiato da quella visione, lei mi notò e vidi quei bellissimi occhi azzurri voltarsi verso di me, e dopo due secondi nero totale.
Un tonfo assurdo, e io a terra e i miei libri sparsi per la strada. Che figuraccia di merda, sono andato a sbattere contro una panchina… tutte le persone che erano lì in quel momento sono scoppiate in una sonora risata, io non avevo il coraggio di guardare verso quella ragazza, a testa china, preso da un imbarazzo assurdo, raccolsi le mie cose e corsi via ad una velocità di cui Einstein ne sarebbe stato orgoglioso.
Nei giorni seguenti evitai di prendere quella strada, desideravo che quell’evento si cancellasse dalla mente di tutte le persone che l’avevano visto. Eppure proprio all’uscita del campus, tra il verde del prato mi sentii chiamare con un “Ehy ragazzo della bici!”, credevo che ormai tutti se n’erano dimenticati, non avevo il coraggio di voltarmi e presi a camminare più veloce, ma i passi dietro di me divennero quelli di una corsa “Ehy! Aspetta fermati un attimo!” mi sento afferrare ad un braccio e portare davanti al volto un libro “Questo è tuo, lo hai dimenticato l’altro giorno!” afferro quel libro ormai sentendomi in trappola “L’illusione del tempo, davvero un libro affascinante!”, stupito girandomi chiesi “lo hai letto?” e rimango pietrificato da quello che avevo davanti gli occhi, l’Angelo della mia penosa caduta “Si, la teoria di cui parla è molto interessante, studi anche tu fisica?”. Qualcosa non andava, io la persona più sfigata dell’universo, avevo per la prima volta una fortuna simile? La donna più bella che abbia mai visto, a cui è piaciuto uno dei miei libri preferiti e che studia anche lei fisica? Mi sembrava di essere entrato in un sogno unico, talmente unico che mi lasciai completamente trascinare. Scoprii che il suo nome era Elismea, faceva il mio stesso anno, seguivamo da sempre le stesse lezioni, solo che io sedevo al primo banco, completamente chiuso e fissato nei miei studi per poter vedere e notare gli altri che frequentavano la mia classe, invece lei era sempre tra gli ultimi banchi così da avere modo di scherzare con i suoi amici. Per quanto eravamo opposti fummo comunque attratti l’uno all’altra, e per me lei fu una luce immensa nella mia vita, la mia nuova ossessione, la mia sola ed unica ragione di felicità! Che sogno meraviglioso quegli anni al suo fianco, lei mi aiutò ad andare oltre al mio trauma, a provare il piacere di vivere, ad alzare lo sguardo dal terreno e ad osservare il mondo attorno a me, lei riempì la mia vita ormai buia con la sua immensa luce.
Elismea, la cosa a me più cara, il mio amore più grande, la mia amata moglie.
Eppure sembrava che la vita, il destino, qualcosa si prendesse gioco di me colpendo tutto ciò che io amavo. Una mattina Elismea venne al mio studio all’università, estrapolandomi dalle mie scartoffie e dai miei mille calcoli per darmi una notizia che fu la gioia più grande, lei aspettava un bambino… non potete immaginare quanta gioia ebbi quel giorno, poter coronare la nostra unione creando una vera e propria famiglia, un figlio dalla donna per me più preziosa…
O così credevo…
Tre aborti spontanei si susseguirono, all’inizio pensavamo che fosse normale, perché molte donne non riescono ad avere subito un figlio e i primi tentativi ricado in aborti.
Ricordo ancora un giorno speciale, erano il nostro anniversario, Elismea era al quarto mese di gravidanza, questa volta sembrava andare tutto molto bene e iniziavamo a rilassarci. Dopo lavoro presi un mazzo di gigli, quel fiore mi ricordavano tanto la mia amata, ricordo che per strada ad un certo punto sentii un fischio molto forte al mio orecchio destro che mi impediva di sentire qualsiasi suono. Fu un attimo ma molto intenso e fu accompagnato da una strana sensazione. Non so il perché ma iniziai ad accelerare i miei passi, sempre di più fino a renderli una corsa diretta verso casa. Feci le scale a quattro a quattro e poi entrai in casa chiamando mia moglie. Lei doveva essere lì, sapevo che non era uscita, ma per quanto la chiamassi non ricevetti riposta. Spalancavo porta dopo porta del nostro appartamento per poi all’ultima porta della stanzetta del nostro futuro bimbo, vidi la testa della mia amica poggiata dolcemente sul fianco della poltrona. Feci un profondo respiro mentre avvicinandomi da dietro gli accarezzai la testa, provai a svegliarla dolcemente chiamandola piano, ma le parole mi restarono in gola, innorridito alla scena.
Dalla vita in giù Elismea era in una pozza di sangue.
Non so quale forza sovrumana ho trovato in quel momento, che mi ha impedito di lasciarmi andare ad un possibile mancamento, ho provato a svegliare Elismea, a cercare il suo battito e a chiamare subito il pronto soccorso, so solo che dopo essermi accertato che lei era ancora viva e solo svenuta, la presi dolcemente tra le mie braccia e piansi, piansi come non avevo mai fatto in vita mia, tutto l’orrore del passato tornò in un sol colpo a galla, perché a lei? Perchè proprio lei? Elismea non centrava nulla, non aveva colpa, non era giusto, Dio se esisti ti prego risparmiala, ti prego, perché mi succedeva tutto questo?
Quella fu l’ultima volta che provammo ad avere un figlio, vendemmo il piccolo appartamento e ci prendemmo una casetta a bordo della città, immersa nei campi, per avere un po’ di pace.
Elismea non fu più la stessa da quel giorno, nel periodo successivo dato anche dalla debolezza fisica e dal trauma dell’aborto, lei cadde in una profonda depressione, con allucinazioni sia uditive che visive. Spesso cullava tra le braccia una bimba invisibile. Questa bimba dai capelli neri cresceva in fretta e le parlava, la vedevo che quando era in stanza da sola lei parlava con qualcuno, con questa figlia invisibile, diceva che era molto timida e non voleva stare con me, preferiva la mamma.
Forse lì dovevo iniziare ad insospettirmi che qualcosa andava oltre la semplice depressione. So sole che la mia amata Elismea non uscì più di casa, e non fu più in grado di badare a se stessa, più il tempo passava e più era come se regredisse, tanto da arrivare a farsi i bisogni a dosso, a dire cose sconnesse e ad avere atteggiamenti che a mano a mano andavano sempre più verso il ripetitivo, come battere di continuo il cucchiaio sul tavolo, o sbattere spesso la testa sul muro. Diceva che la bimba la rimproverava spesso perché lei non era una madre buona e doveva punirsi, farsi male.
La situazione era diventata insostenibile per me da solo, pertanto presimo una governante.
Io nel mentre continuavo i miei studi sul tempo all’università dove ora ero docente.
Per quanto la mia amata non era più come l’avevo conosciuta io non riuscivo ad abbandonarla, per me lei era la cosa più preziosa e sapevo cosa lei stesse passando, per me era tutto, era la mia stessa vita e vederla ridotta così era un dolore immenso.
Lei iniziò a dondolarsi spesso in un angolo buio della camera, ripetendo spesso delle frasi sconnesse o parole “non sono stata io” oppure “sono un mostro!” o anche “non merito di esistere”.
La notte aveva spesso incubi, si svegliava in preda alle urla, urlava di voler uscire di qui, di liberarla! Io non sapevo più cosa dovevo fare, e spesso per calmarla durante la notte andavamo in giardino, facevamo una piccola passeggiata, avevo fatto mettere una poltrona sotto la tettoia e lì si addormentava serena.
I dottori le davano farmaci ma questi non sembrava che avessero effetto, la calmavano un pochino, l’addormentavano, la sedavano, ma lei non guariva, mi sembrava impossibile che potesse tornare la mia Elismea.
Un giorno ebbi una telefonata in studio, era la governante disperata, urlava che mia moglie era indemoniata e che avrebbe lasciato quella casa, lei non ne poteva più di stare lì, non ne poteva più, dovevo chiamare un esorcista un prete, qualcuno. Ho cercato di calmarla per chiederle cosa fosse successo, lei mi diceva, che mia moglie si era chiusa a chiave in camera, e continuava ad un urlare contro qualcuno e che si sentivano cose che si rompevano, e per quanto lei bussava con i pugni alla porta la padrona continuava ad urlare di andarsene.
Ero sconvolto dalle sue parole, non capivo veramente cosa stesse succedendo, pensavo che stesse esagerando, ma sono corso più in fretta che potevo verso casa, lasciando il mio lavoro senza nemmeno avvisare. Tornato a casa ho sentito con le mie orecchie Elismea urlare contro qualcosa di andarsene, mentre che stavo per salire la porta di casa, ho visto il vetro rompersi della finestra della stanza al piano di sopra, tanto che per poco non sarei stato preso da una pioggia di vetri rotti.
Aperta la porta di casa la governante corse verso di me spaventata e disperata, dicendomi che la padrona non l’apriva, provai ad aprire quella porta, mentre mia moglie urlava e i rumori in stanza erano assordanti, sembrava come se una bestia selvaggia si stesse buttando da un muro all’altro della stanza, non poteva mai essere lei con quel corpicino esile a fare quei tonfi. Presi a spallate la porta ma niente, non riuscivo a buttare giù quella porta. Dopo un ultimo urlo di mia moglie “BASTAAAAAAAAAAAA VATTENEEEEEEEEEE VIAAAAAAAAAAAAAAA!!!”, ci fu un silenzio assoluto, che mi stringeva attorno al cuore più di ogni catena, mi stavo per avvicinare alla maniglia per fare un ultimo tentativo, ma la porta si aprì timidamente, e una donna magrissima e pallida come un cencio fece capolino, dicendomi che era finito tutto, era riuscita a farla andare via. Io e la governante eravamo alibiti, incapaci di parlare o di dire qualunque cosa, so solo che lo spavento di prima irruppe in rabbia, rimproverai Elismea come non avevo mai ostato prima, urlandole che non doveva fare così, che non ne potevo più di questi suoi atteggiamenti, che era che superasse il trauma della perdita del nostro bambino, che non doveva mia più rinchiudersi in camera così, non so quante e quante cose e cattiverie gli sputai a dosso, a quella donna così debole che cercava di fermarmi e di dirmi che era riuscita a farla andare via, era tutto finito. Ma io ero stanco, stanco di tutto quel caos, rivolevo la mia Elismea, rivolevo la mia luce, che uomo disgustoso che sono stato, sapevo solo chiedere e prendere la sua energia la sua vitalità ma quando lei ne ha avuto più di bisogno non le ho saputo stare accanto, non l’ho saputa ascoltare e comprendere cosa stesse succedendo. Che vigliacco che sono stato, inferire su di lei nel momento di maggiore debolezza.
I sette giorni successivi furono qualcosa che i miei occhi non avrebbero mai potuto immaginare che potesse accadere. Durante la prima notte fui svegliato dalle urla di panico di Elismea, le sentii sbattere forte la testa contro il vetro della finestra rompendosi il naso, quando ho aperto gli occhi sembrava che avesse corso di scatto senza freni verso la finestra. Ricordo ancora l’immagine del suo volto coperto dal sangue che scorreva dalla ferita, mentre lei piangeva e urlava tra il dolore e lo spavento. Eppure per un attimo ebbi pure il coraggio di pensare che forse sarebbe stato meglio se la finestra era aperta, tanto ero uno stupido e stolto. Andai da lei a medicarla e calmarla.
La mattina dopo mentre ero a lavoro, ebbi un’altra chiamata, la nuova governate che avevo preso dopo che la precedente aveva dato le dimissione, mi contatta disperata, dicendo che mia moglie era all’ospedale, perché si erano girate le ossa di entrambe le braccia.
Silenzio
La mia testa necessitò di qualche puro minuto per elaborare tutto quello che era successo, sotto schock per quello che era successo quel giorno prima di andare all’ospedale per vedere mia moglie andai dal dirigente e mio capo gli raccontai la mia situazione gli chiesi un periodo di concedo, dicendogli che avrei continuato i miei studi da casa.
Adesso non potevo più lasciare mia moglie da sola.
All’ospedale mi raccontarono che la scena che videro le persone del pronto soccorso quando trovarono Elismea era qualcosa di innaturale e inspiegabile. Entrambe le braccia dal nulla piegate totalmente all’indietro, con i gomiti piegati al contrario, un indagine fu aperta perché la cosa fu abbastanza grave, ma nessuno riuscì a trovare una spiegazione, un colpevole o una causa, soprattutto perché ormai Elismea smise di parlare totalmente. Quella notte all’ospedale iniziò ad urlare con una voce che non era la sua, cupa e orribile, e appena gli fu somministrato il calmante inizio ad avere delle forti convulsioni, anomale, che le facevano tremare tutto il corpo ad una velocità incredibile, tutta una schiuma gli usciva dalla bocca e gli occhi erano bianchi talmente sporgenti che sembrava che gli stessero uscendo fuori dalle orbite. Quattro infermieri sono dovuti intervenire per riuscire a tenerla ferma e non so quanto sedativo le hanno dovuto dare.
Io ero semplicemente pietrificato, oramai non sapevo più identificare la malattia di mia moglie, nessuno capiva cosa le stesse succedendo, non era più un semplice esaurimento nervoso.
Il giorno dopo dormì tutto il giorno a causa delle medicine, e la sera i medici decisero di dimetterla, le braccia erano ingessate e ci diedero di fare delle prove allergiche per la reazione del giorno prima, io rimasi basito, vedendo in che condizioni era Elismea, i medici che dovrebbero essere quelli che ci dovrebbero curare, la lasciano tornare a casa così? In quale diamine di mondo viviamo?
Ma non era finito.
Elismea oramai non parlava più, non interagiva più e non mangiava più, era come una bambola vuota, viveva di flebo che gli davamo per dargli un po’ di cibo in endovena, con un’infermiera che veniva apposta. Ma quella notte credo che vomitò pure l’anima, non ho mai visto una scena simile, vomitò così tanto che gli occhi gli divennero neri e scuri, sembrava non calmarsi in nessun modo, la portai al pronto soccorso e lì si calmò come se nulla fosse successo, tanto che i dottori ci lasciarono ritornare a casa con un cartellino blu.
Durante il giorno lei stava seduta sulla poltrona imbambolata, piena di sedativi e medicine non aveva più la forza di fare nulla.
La quinta notte mi svegliai di botto in piena notte, non per un rumore, non so bene cosa mi avesse svegliato, ma mi ritrovai che Elismea non era più nel letto accanto a me, la porta della camera era chiusa a chiave e la chiave era al mio collo, negli ultimi tempi lei soffriva di sonnambulismo e per evitare che andasse in giro per casa durante la notte ho preso la precauzione di chiuderci a chiave dentro, la governante aveva una copia. La finestra invece era aperta, mi precipitai a guardare sotto e la vidi. Una chiazza bianca pallida sul mare di verde petrolio del prato sotto le pallide luce delle stelle di notte. Ho pensato subito al peggio, ho pensato subito che si era buttata giù, che quello che vedevo era il suo cadavere. Ho urlato il suo nome disperato e sono corso giù, svegliando la governante, andai subito a sollevarla dal terreno, sicuro di vedere sangue ovunque, ma invece nulla, non c’era sangue, non c’era nulla, avvicinai un orecchio al suo volto e ne sentii il respiro, dormiva. Ero incredulo, come era arrivata lì se la porta della stanza era chiusa a chiave? Non poteva essersi arrampicata dalla finestra, la sollevai dal terreno, notando quanto era leggera, oramai era diventata pelle e ossa, così fine e delicata, la strinsi al petto, mi sembrava di starla perdendo, ed ero impotente, incapace di impedirlo.
Il resto della notte non ho chiuso occhio, sono rimasto ad osservarla mentre dormiva, ascoltavo il suo respiro profondo, era da così tanto tempo che non la vedevo dormire così dolcemente, sembrava così serena ed in pace, tanto da farmi credere che tutto quello che era successo fino al giorno prima fosse stato un mero sogno. Era così bello vedere il mio amore dormire, sentire il suo respiro, sapere che era viva lì a canto a me, desideravo tanto che tutto andasse bene desideravo tanto la sua gioia e la sua pace. Mentre pensavo ciò mi addormentai e feci un sogno. In quel sogno c’era una bambina dai lunghi capelli neri, canticchiava una canzone, giocava in un campo di margherite, i capelli erano così lunghi che le coprivano il viso, la vedeva di spalle, era molto esile e portava un vestito consunto e rovinato, tra le mani aveva una margherita di cui staccava i petali, mi fece sorridere pensando a chi sa quante bimbe avranno spelacchiato delle margherite nel mondo.
Però c’era qualcosa di strano quei petali bianchi non erano ben dritti e soffici, e non vedevo cadere nessun petalo a terra, era come se svanissero nel nulla. Mi avvicinai, dalla statura le avrei dato circa sei anni, una bimba esile, i cui capelli lunghi le coprivano il volto. Osservando le sue mani notai che ogni petalo che lei staccava, non svaniva semplicemente nel nulla, ma si polverizzava tra le sue mani diventando polvere. Mi sollevai di scatto in piedi e… ogni singolo fiore, filo d’erba attorno a me era completamente secco, privo completamente di vita, ma era strano perché le piante non erano deteriorate dal tempo, era come se fossero seccate in un istante senza invecchiare, come se qualcosa gli avesse succhiato via l’energia in un istante. Ero scioccato da quella vista così inquietante!
Per un secondo alzo gli occhi al cielo e vedo al posto delle nuvole qualcosa come uno specchio d’acqua che rifletteva perfettamente l’immagine del terreno, come se al posto delle nuvole ci fosse un lago piatto o uno specchio, osservo il mio volto riflesso che mi osserva dal cielo e poi noto una macchina scura.
Sopra quella bimba che continuava a giocare con i fiori oramai spirati, c’era una spirale nera, di un nero che non avevo mai visto, un nero che non sapeva di negativo, ne di buono, un nero vuoto, un nero che più lo guardavo e più succhiava via da me qualcosa, lasciandomi senza pensieri, volontà, decisioni, energia, mi sentivo diventare come una bambola vuota, sentivo il nulla!
Mi svegliai di soprassalto respirando affannosamente, la mia vista era annebbiata e sudavo freddo.
Mi ci vollero alcuni secondi per capire cosa stesse succedendo, guardando le mie mani notai che stavano tremando, tutto il mio corpo tremava, come in preda ad una paura cieca ed istintiva, come se qualcosa di pericoloso si fosse avvicinato a me. Di scatto mi allungai alla ricerca di Elismea… era ancora lì, sdraiata sotto le coperte accanto a me che dormiva profondamente. Feci un sospiro di sollievo, rassicurandomi che era tutto un sogno e mi alzai andando verso la finestra della camera.
In un secondo sentii le mie gambe cedere, tanto che dovetti tenermi su appoggiandomi al davanzale della finestra… avrei dovuto prestare più attenzione a quello che vidi in quel momento e farmi domande da cui cercare risposta, invece che soffocare la mia mente pensando che fosse stato un caso.
Lì, alle primi luci del mattino, nel giardino, proprio dove poche ore prima Elismea giaceva inerme, un letto di erbetta e fiori secchi, come una chiazza scura, morta, in mezzo al resto della vita. Come nel sogno quei fiori erano seccati senza essere rovinati dal tempo, come se avessero perso ogni energia, ogni vitalità in un istante.
Rimasi sgomento da quell’immagine, forse talmente tanto che la paura stessa ha divorato tutto dalla mia mente, facendomi pensare che era impossibile, non era razionale, sarà stato un caso, gli si sarà rotto il sacco di insetticida al giardiniere e avrà avvelenato quello spicchio di giardino e forse Elismea era andata lì perché il terreno le sembrava più soffice per riposare, no, non era possibile, c’era sicuramente una spiegazione.
Me ne dimenticai per ricordarmene solo ora, e mi godei quei giorni dopo dove tutto sembrava sereno, Elismea aveva ripreso a mangiare, era più vitale e sorridente, sembrava tutto essersi calmato, magari quel mio desiderio era stato esaudito. Era così bello vederla serena e felice…
Una notte prima di addormentarci, restammo sdraiati uno di fronte all’altra, in completo silenzio, ci guardavamo semplicemente negli occhi. Non era necessario pensare, stavamo bene semplicemente stando vicini, vedendo l’esistenza l’uno dell’altra.
Per un secondo ho ripensato al sogno avuto giorni prima, e quell’istante Elismea mi poggia un dito sulla bocca “shhhh, non pensare, potrebbe sentirci… sai, io so tutto di lei, lei non lo sa, ma io vedo tutto, tutti i suoi ricordi, tutto i suoi pensieri, ho sempre sentito i pensieri..”
La osservo stupito, da quando si era ammalata, non aveva mai parlato così a lungo, non potei fare a meno di restare incantato e ascoltarla.
Mi raccontò la storia di questa ragazza vissuta nel medioevo, di quello che le era stato fatto, e di quanto abbia sofferto, mi diede nomi di persone e città dove viveva, ero tutto estremamente dettagliato, che grazie alla mia memoria formidabile, mi annotai ogni particolare nella mia mente, per quanto assurdo non volevo dimenticare nulla di quello che mia moglie, Elismea mi stava raccontando. Ci fu un attimo in cui mi afferro di scatto il polso, e lo tenne stretto stretto, mi guardava fissa negli occhi con una serietà mai vista, chiedendomi di prometterle che non avrei mai fatto del male a quella ragazza, che non l’avrei mai toccata con un dito. Io annui con la testa in senso di consenso e li si rilassò, tornando a parlare di altro.
Che gioia potei provare quella notte, mi sembrava di esser tornati ai primi mesi di matrimonio, quando ci trovavamo a parlare per notti intere del più e del meno, incapaci di distogliere lo sguardo l’uno dall’altra.
Ci addormentammo così mano nella mano alle primi luci del mattino, svegliandoci quando il sole era ben che alto.
Per quanto Elismea aveva ripreso a mangiare, il suo corpo era ancora molto debole e pertanto spesso passava buona parte della giornata in camera. Quel giorno decidemmo di prendere un tè insieme, dalla finestra aperta si udivano gli uccelli cantare, c’era un’aria così serena. La governante entrò in camera portandoci il tè appena preparato e rimase un po’ a chiacchierare con noi, era anche lei felice di vedere la padrona essersi ripresa in questo modo.
Mi distrassi un attimo a guardare verso la finestra, pensando quanto ero felice, per poi rivolgendomi verso Elismea notai come il tè che aveva appena sorseggiato era particolarmente rosso intenso, invece il mio era sul nero, pensai che era la luce a fare quel gioco di colori, guardavi la mia amata in viso sorridendole e lei era pallida in viso, portò la mano vicino alla bocca come presa dal panico e quando provò a dirmi qualcosa si sentii un “Pluf” seguito da un fiume di sangue. Qualcosa era caduto nella tazzina di tè.
Ricordo le urla isteriche della governante che iniziò a pregare nella sua lingua nativa, io ero pietrificato, non so per quanti secondi o minuti, mi sembrava di non essere lì, che tutto quello che stavo vivendo era semplicemente la scena di un film, non lo stavo vivendo io veramente…
Lì dentro la tazza di tè galleggiava un ammasso rosso, vivo, una lingua tagliata di netto.
…
Il medico non si spiegava il fatto, credeva che fosse stata lei a tagliarsela, non poteva credere che mentre beveva tranquillamente il tè le sia cascata la lingua, era una cosa assurda, tanto che pure io nella mia testa, se non ci fosse stata anche la governante a confermare ciò che io ricordavo, avrei pensato che quella scena me l’ero costruita io nella mia testa da solo…
adesso lei non poteva più parlare, che ironia della sorte, dopo quella lunga chiacchierata insieme, aveva perso l’uso della parola…
Per quanto adesso restassi a casa, continuavo i miei studi sul tempo, quel racconti, quel posto e quei nomi, erano come un’ossessione nella mia testa. Avevo fatto delle ricerche e il racconto di Elismea combaciava con i nomi di alcune città e i paesaggi di quei posti, ma di quei fatti così tetri e straordinari, da nessuna parte se ne parlava.
Mai più di ora, desideravo andare nel passato e scoprire, vedere la verità con i miei occhi.
Una mattina fumavo fuori, albeggiava, ancora la luce era talmente poca che era più notte che giorno. Dopo l’ultimo fatto la governante ci aveva lasciato licenziandosi, abbandonando questa casa spaventata come non mai, dicendo che era indemoniata!
Mentre con la prima governante feci un po’ di storie, con quest’ultima non battei fiato, non potevo darle torto, anch’io cercavo di stare il meno possibile dentro, tanto da passare certe volte intere notti seduto sulla panchina fuori casa avvolto da una coperta a fumare.
Ricordo ancora quella scena come se fosse oggi, davanti i miei occhi sedeva Elismea sul prato del giardino, aveva staccato delle margheritine e stava giocando a tirar via i petali, ricordo che mi alzai, ma non mi mossi pensando che ciò che avevo davanti era un miraggio. Elismea mi guardò sorridendo e con il labiale mi disse “Ti amo”…al suo fianco c’era quella bambina dai capelli neri, mi guardava attraverso quei occhi nascosti dai lunghi capelli, mi osservava seria mentre poggiò una mano su quella della mi amata. Mi ritrovai bloccato, incapace di muovere un passo, come se il mio corpo fosse diventato di cemento armato, costretto a solo vedere la scena difronte a me.
Non appena fu toccata, i capelli di Elismea divennero bianchi, e la pelle iniziò a diventare pallida, molto bianca ed in fine grigiastra. La pelle inizio a raggrinzirsi, come se le fosse succhiato via ogni liquido, il suo sguardo divenne sempre più vacuo fino a sparire di ogni vitalità, la pelle iniziò a staccarsi in frammenti, come quando si solleva la terra secca dal terreno arido, e cadendole si frantumava in aria. Elismea aveva allungato una mano verso di me, come a volermi afferrare, ma era troppo distante e io non riuscivo a muovere un muscolo. Sentivo il mio volto bagnarsi dalle lacrime che correvano giù da sole, me la stava portando via, il mio amore, la mia vita, la mia Elismea!!!
Polvere…
In un secondo fui invaso da una nube di polvere trasportata dal vento, in un secondo tutto ciò che per me era fondamentale nella vita fu ridotto in polvere.
Urlai con tutto me stesso e poi caddi in ginocchio in lacrime, mentre una rabbia cieca iniziava a pervadermi, avrei avuto la mia vendetta.
Non so quanto tempo passai chiuso nel mio laboratorio, mai come allora mi dedicai ai miei studi sui viaggi nel tempo, avevo chiaro il mio obiettivo ed ero determinato a portarlo a termine, dovevo fermare quella ragazza prima che potesse far del male alla mia Elismea! Non c’era più giorno e notte, c’era solo tanto lavoro e lettura, studiai la lingua dell’epoca dove volevo andare, imparando quante più abitudini siano rimaste fino ai nostri giorni. Desideravo mimetizzarmi e raggiungere il mio nemico in silenzio, senza coinvolgere altri.
Oramai avevo perso la cosa a me più cara, il resto non aveva più valore od importanza.
Forse la disperazione certe volte diventa un treno trainante, una chiave d’accesso a parti folli della nostra mente che ci portano a compiere azioni uniche e raggiungere obbiettivi che senza ci sarebbero stati impossibili, per questo forse riuscii nel mio intento e creai la macchina del tempo.
Non vi narrerò ogni parte di questa storia, perché è molto più intensa e lunga del mio tempo, non vi narrerò cosa significa e si prova viaggiare in un altro tempo, il sentire il mio corpo bruciare anche ad un singolo respiro quando i miei piedi calpestarono questa epoca dello stesso pianeta ma del passato. Cosa ho visto, cosa ho vissuto, se ho trovato pace, o orrore più grande.
Ma voglio arrivare qui davanti a lei, una storia che non è stata mai narrata.
Noi crediamo che quello che rimane nella storia che leggiamo, siano le storie più grandi, le più grande conquiste o i più grandi orrori.
Ma non è così, ci sono conquiste profonde che sono state dimenticate e orrori che sono stati cancellati dalla memoria delle persone.
Forse questo è uno di essi, ma ancora non lo sapevo.
Non so il perché lei viveva chiusa entro le sbarre di una grotta, nessuno poteva accedervi, gli calavano il cibo da una cesta da una sommità di quella grotta. Se mai qualcuno si dimenticava troppo a lungo di lei la natura attorno a quel luogo iniziava a morire, perdendo ogni vita, energia, diventava secca, non marcia, come se le cellule perdessero all’istante ogni elemento importante alla vita, come se la vita stessa gli fosse succhiata via.
La gente di quel villaggio la temeva ma non la odiava e non ne parlava, non sono riuscito a scoprire quel luogo perché qualcuno che sapeva mi informò, ma attraverso parole non dette o dette di troppo o forse anche in questo caso fu la disperazioni che mi fece arrivare lì, nel luogo esatto che mi narrò quel giorno Elismea, ebbene si quell’abominio che me l’aveva portata via esisteva, e io ora potevo avere la mia vendetta.
Oramai avevo perso ogni cosa, nulla aveva più veramente importanza, una creatura che era da anni e anni in una prigione, che da anni non muoveva più il suo corpo, un mostro bloccato e ridotto alla fame, desideravo che fossero le mie mani a distruggerlo.
Creai un piccolo esplosivo con delle sostanze che riuscii a trovare in giro e allargai l’apertura da dove veniva calato giù il cibo, era quasi l’alba, non era notte fonda ma c’era la giusta luce per poter vedere bene e le persone in lontananza erano di certo nel sonno profondo, nessuno poteva disturbarci.
Dopo l’esplosione sentii un urlo, mentre scendevo con la corda, mi sembrava di entrare in un pozzo di nero profondo, accesi una torcia che avevo con me per osservare l’area sotto di me, e ai bordi del cerchio di luce, vidi muoversi una velocemente una creatura abominevole, ohh era viva, era lì, esisteva veramente!
Si molte persone avrebbero il terrore più profondo, avrei dovuto averlo anch’io, ma credo che ormai ero in preda alla pazzia, quella pazzia che non ti da eccitamento anche quando la morta si presente alla tua porta.
Quella cosa emetteva suoni grotteschi, non c’erano parole, come se non riuscisse a parlare accesi una seconda torcia e feci cadere la prima per lasciare un punto di luce.
Ero ancora legato in aria, presi un altra sfera di esplosivo e l’accesi e dondolandomi con la corda feci luce in più parti della grotta, non era molto grande e profonda, era come una stanza incavata nella roccia.
Eccola!!
Raggomitolata in un angola della stanza sentii l’urlo di un essere che nero che di umano aveva solo la forma, gli lanciai subito l’esplosivo in mano e poi altri tre in altre tre direzioni così che fosse presa da almeno una delle esplosione.
Se potessi farvi sentire la mia risata, mostro indebolito dal tempo, che sciocchezze la mia mente ha potuto realizzare… fece un balzo verso di me che nessun animale avrebbe mai potuto così in alto, mi afferrò la caviglia e in un secondo mi ritrovai scaraventato a terra.
Fu un susseguirsi di eventi veloci, avevo lei più nero del buio sopra di me che mi scrutava, avevo la paura che mi gelava il sangue talmente tanto da aver azzittito la mia pazzia a provar a far qualunque altro gesto, e più in là c’era la sacca con tutto l’esplosivo vicino alla torcia, che prese fuoco e nemmeno il tempo di comprendere se ero vivo o morto che ci fu esplosione tale che io e il mostro fummo scaraventati via insieme ai massi.
Ricordo che ad un certo punto aprii gli occhi, non sentivo più dalle orecchie, ero totalmente stordito dall’esplosione, vedevo solo una luce davanti a me, e non so con quale forza mi alzai, volevo raggiungere quella luce, e mi trascinai fino all’apertura che si era creata con l’esplosione di prima. Fuori la luce fievole del mattino, non so quanto l’abbia mai potuta amare, ma in quel momento era come l’acqua nel deserto.
Credevo che fosse tutto finito, ero ferito alla testa, intorpidito per l’onda d’urto ma non avevo nulla di grave, respirai profondamente e poi scoppiai a piangere, un pianto lungo e profondo, tutto era finito, avevo vendicat….
Le ultime parole che la mia mente potette pronunciare. Come potevo continuare a collegare quel mostro ad un essere umano?
Era in piedi, il corpo nero dallo sporco mai lavato, uno straccio come vestito e quei lunghi capelli neri mai tagliati che le coprivano il volto, dal nero della grotta la vidi mettere un piede fuori alla luce del giorno, credevo che avesse paura della luce come un vampiro, oggi ci rido al pensiero, quanta presunzione nel credere che la mia conoscenza del sovrannaturale potesse essere abbastanza da dare per scontato tutto.
Ad ogni nuovo passo che lei poggiava sull’erba fresca, vedevo una luce fine e bianca che entrava dentro li lei e andava via dall’erbetta, lasciandola secca senza vita, tutto attorno a lei moriva, lei succhiava via la vita di ciò che toccava, feci un passo indietro cadendo a terra e urlando di no di andarsene, ohh dov’è andato via tutto il mio grande coraggio?
In un attimo era sopra di me, sentivo il suo puzzo di una persona che era stata chiusa da anni dentro a quella grotta, non so che espressione terrorizzata o patetica potessi avere in quel momento, ma ero sicuro di esser giunto alla mia ora, e per un attimo provai sollievo, il sollievo che ora potevo raggiungere la mia Elismea.
Sollievo? Fu l’inizio dell’incubo.
Lei poggiò le sue mani sulle mie tempie e lì vidi.
In pochi secondi i suoi ricordi penetrarono nella mia mente, in pochi secondi vidi un intera vita e oltre, dopo quei pochi secondi lei lentamente inizio a sgretolarsi lasciandomi vivo, con un colpo finale e una sofferenza più grande di quanto io abbia mai potuto avere.
Forse voi che state ascoltando questa storia pensate che c’è un limite alle cose che in questo mondo possono accadere, pensate che vedere la propria amata sgretolarsi davanti ai propri occhi sia il massimo del sovrannaturale, della sofferenza che si possa vivere.
Vi prego di ascoltare ciò che vi sto per dire.
Ciò che vidi fu la vita di questa ragazza, ebbene si non era un mostro ma una normale ragazza vissuta in un’epoca diversa. Era una bimba normalissima, la cui famiglia inizialmente benestante perse ogni ricchezza, pertanto decise di vendere la figlia ad un mercante per avere in cambio denaro.
Dopo sofferenze che non vi descrivo lei finì in un posto che era un inferno, un laboratorio del medio evo, dove nell’ombra e nei sotterranei di un grande palazzo, un uomo giocava con dei bambini, ma no come oggi farebbe un padre con i loro figli, giocava con il corpo, la vita e l’anima di quei bambini.
Magia forse, non so cosa lui fosse ma ciò che aveva fatto a questa ragazza è stato abominevole e ciò che la mia dolce Elismea aveva provato era solo una parte di quello che lei stessa aveva vissuto e non era stata lei a farlo ad Elismea, oh no non era stata lei, le due erano talmente tanto connesse che la sofferenza di una, gli eventi di una si erano manifestati nell’altra… non era stata lei ad uccidere Elismea…
non era stata lei… ma io…
Si.
Lo vidi quel “nobil” uomo che giocava a fare lo scienziato nel passato, a voler studiare nuove cose, quell’uomo ero io.. o meglio il me del passato, una lontana vita ignobile che aveva stroncato quella di tantissimi bambini per dare sete al mio desiderio di conoscenza.
Io avevo rotto le braccia più e più volte a quella bimba, io le avevo tagliato la lingua di netto con le miei mani, io l’avevo avvelenata con vari veleni per vedere gli effetti, io avevo distrutto parte della sua anima inserendo qualcosa dentro di lei, qualcosa che non doveva esistere in quella dimensione, ma che attraverso la sofferenza di tanti avevo portato lì.
In molte storie abbiamo forse letto di porte che se le attraversi ti conducono in altre tempi e spazzi, dopo aver viaggiato nel tempo per me non era assurda come cosa, ma ciò che era assurdo era che questi portali potevano essere creati ovunque, anche nel corpo di una persona, nel corpo di una bambina.
Le era stato inserito dentro di lei un portale che non portava a una semplice dimensione, ma che si apriva semplicemente al Nulla più Totale.
Quel portale risucchiava dentro di se ogni forma di vita, riducendole in nulla, da quel giorno, qualunque cosa lei toccasse svaniva, si sgretolava, da quel giorno lei era una bomba, un arma un mostro, che se non controllata poteva portare a grandi disastri. Ho visto tutto il dolore che le ho creato, e la rabbia che aveva in se, lei mi uccise e uscii da quel posto, portò fine a quel luogo, ma decise di chiudersi dentro una grotta perché aveva paura di ciò che poteva fare.
E qui ora chi è il carnefice e la vittima?
La sua vendetta fu tale che mi accompagnò di vita in vita, in ogni vita lei nasceva accanto a me, in ogni vita lei mi fermava nel ripetere orrori simili, in ogni vita lei mi toglieva le cose più preziose, in ogni vita io mi innamoravo di lei e vita dopo vita diventava sempre più importante nella mia esistenza, e più lo diventava e più perderla era una sofferenza.
In ogni vita lei si connetteva alla se stessa del futuro, la spingeva verso di me, la faceva innamorare, e poi me la strappava via, lasciandomi solo nella sofferenza.
Vidi in un istante tutte quelle vite, provai in un istante tutte quelle sofferenze, ohh non so come abbia fatto il mio cuore a reggere, nell’arrivare al mio tempo, nel rivedere Elismea muoversi attorno a un me giovane e poi sgretolarsi tra le mie braccia…
Cosa peggiore nel sapere che l’essere per te più importante in realtà l’hai portato tu stesso alla sua fine?
Io ho ucciso Elismea.
La sua anima consumata da quel vortice ha portato via ogni vita in ogni tempo, riducendola in polvere. Io avevo portato in lei quella sofferenza io ero il carnefice.
La mia storia per voi finisce qui e vi chiedo di non sottovalutare mai gli eventi che vi accadono, dietro ci possono essere cose che nemmeno potete immaginare.
Racconto veramente sorprendente! Mi è sembrato quasi di leggere una storia di Stephen King.
Grazie Davide è un grande complimento per me!!! Ho sempre apprezzato i racconti di Stephen King, non mi posso paragonare a lui, devo migliorare molto e spero di poterci riuscire!! Grazie mille!