Aurora: Incendio sulla collina II (Cap. 1)

CAPITOLO 1 – INCENDIO SULLA COLLINA II

Quando l’ispettore Franchi arriva sulla collina, i pompieri hanno domato gran parte dell’incendio e il fumo, acre e intenso, gli arriva subito alle narici non appena smonta dall’automobile facendogli storcere il naso.

“Buonasera ispettore!” lo saluta l’agente Bruni andandogli incontro.

“Buonasera Bruni, che abbiamo?”.

“Una casa distrutta e una ventina di morti, ispettore”.

“C’era una festa?”.

“Sì, ispettore, ma non la festa a cui sta pensando”.

“Che vuol dire?”.

“Mi segua”.

L’agente lo fa passare sotto il nastro che delimita l’area delle indagini e lo porta a una delle tre autoambulanze parcheggiate poco distanti da quello che sembra essere stato il portico della casa. Lì, un paramedico gli consegna le mascherine che indossano subito. L’uomo, insieme ad alcuni poliziotti, stava sigillando in teli di plastica i cadaveri carbonizzati delle persone che si trovavano nella casa al momento dell’incendio.

“Ragazzi” chiede Bruni, “Vi dispiacerebbe mostrarci di nuovo quello di prima?”.

“Seguitemi” risponde il paramedico e li porta con sè sul retro del mezzo dove sono allineate le salme già pronte.

“Dovrebbe essere questa” fa il paramedico aprendo la cerniera del telo.

“Non sembra carbonizzato” commenta l’ispettore.

“Ed è una fortuna” aggiunge Bruni, “Lo vede il foro sulla fronte?”.

“Sì” fa l’ispettore, “Lo hanno freddato prima e hanno cercato di liberarsi del cadavere?”.

“Probabile. Grazie, puoi richiuderlo” dice Bruni.

I due aspettano che il paramedico si allontani.

“Immagino che ci siano altri in questo stato” afferma l’ispettore, “Sappiamo di chi era la casa?”.

“Non tutti i corpi sono integri. Quelli che non sono carbonizzati presentano però tutti ferite simili” risponde Bruni, quindi apre un blocchetto e cerca un appunto. L’ispettore Franchi lo fissa con un sorriso.

Lavorava con l’agente da un paio di anni e non si era mai dovuto lamentare del suo operato. La cosa che più gli piaceva del suo assistente era il modo preciso e ordinato con cui raccoglieva informazioni appuntandole sul suo immancabile taccuino. C’erano palmari e computer in dotazione a tutte le Forze dell’Ordine, ma Bruni prendeva ancora appunti con un taccuino e una biro come il Tenente Colombo. Sorride l’ispettore pensando a come in fondo gli somigliasse, sebbene non lo avesse mai visto con un impermeabile o con un capello fuori posto. Forse Bruni era solo un giovane poliziotto che non trascurava i particolari quando era in servizio.

“Ecco, non lo avevo visto. Norman del Bono, ho controllato e… Cosa c’è?”.

L’ispettore si morde la lingua, “Mi scusi, è solo che mi ha ricordato me quando cerco i calzini la mattina”.

“Ah” commenta con un sorriso l’altro, “Comunque” aggiunge, “Il nome è inventato, un prestanome inesistente, perché non risultano Norman del Bono in nessun database”.

“Nessun?”.

“Abbiamo la possibilità d’incrociare le generalità di una persona con molti archivi informatici, i database per l’appunto, e pare che in Italia non esista nessuno che si chiami Norman del Bono”.

L’ispettore si passa una mano sul viso rugoso.

Quella mattina non aveva avuto voglia di farsi la barba e arrivata la sera sembrava che sulla sua faccia fosse passato un aratro con le lame rovinate lasciando gran parte di quello che invece doveva tagliare.

Perché, se esiste la tecnologia che ti permette di trovare un tizio qualsiasi in Italia, tu continui a usare il taccuino?

Questo voleva chiedergli, ma non lo fa.

“C’è dell’altro ispettore” dice Bruni.

“Mi dica”.

“Abbiamo trovato reperti interessanti, opere d’arte immagino, le vuole vedere?”.

“Non sono bruciate?”.

“Solo per un caso” commenta l’agente, “I pompieri dicono che un pezzo del soffitto, cadendo, ha formato una piccola sacca d’aria che li ha difesi dal fuoco. Almeno fino al loro arrivo”.

“Di che si tratta?”.

Il poliziotto lo accompagna attraverso le macerie e il fumo che è ancora intenso. Gli dice di mettere la mascherina che avevano abbassato dopo aver visionato il cadavere. Quando sono nelle prossimità di quello che doveva essere il corpo centrale dell’abitazione, il calore sprigionato dalle ceneri è forte e l’odore acro di bruciato li fa lacrimare. Due uomini della Scientifica mettono da parte con cautela alcuni oggetti nei contenitori di plastica. Da uno sguardo superficiale, l’ispettore conclude che gli oggetti siano ancora caldi al tatto, sebbene integri, ma la cosa che più lo colpisce è il magnetismo che esercitano sui presenti. Altri cinque poliziotti assistono all’operazione con rapito interesse e lui si chiede se tra i reperti interessanti dell’agente Bruni non ci fosse anche il Santo Graal.

Sta sorridendo quando il poliziotto lo invita ad avvicinarsi, “Guardi” dice, “Ragazzi, fate spazio per favore”.

La prima cosa che nota è la grandezza. Sono o non sono delle banali bomboniere quelle che sta osservando? Poi s’inginocchia vicino al contenitore di plastica e resta di stucco nel notare i particolari. Su ogni cosa, i materiali.

Si sofferma prima su quella in legno, intagliata in un modo che quella d’oro, posta al suo fianco, sembra falsa. Più in là, nota un’altra che deve essere di vetro, ma così trasparente che non riesce a capacitarsi del come fosse rimasta intatta dopo l’incendio e la caduta di un pezzo di tetto.

“Cavoli” sussurra puntando il dito su una di colore verde con venature bianche, “E quello che materiale sarebbe?”.

Alza la testa verso gli altri, ma nessuno gli risponde. Si rimette in piedi stiracchiandosi.

“Suppongo che non provengano da uova di Pasqua rubate, giusto?” chiede ad alta voce.

“Non credo” commenta uno dei poliziotti della Scientifica ridendo, “Altrimenti mia moglie me lo avrebbe chiesto certamente! Lei impazzisce per questi gingilli”.

“Non potresti permettertelo” ribatte il collega che gli stava di fronte.

“Bruni” dice l’ispettore quando la Scientifica si rimette al lavoro, “Che sappiamo di queste statuette?”.

“Al momento nulla, ispettore” risponde l’altro grattandosi la testa, “Cercherò tutto quello che trovo sulla rete”.

“Quale rete?”.

“Internet, la rete, ispettore” commenta imbarazzato l’agente e Franchi si mette a ridere.

La sua risata, da dietro la mascherina, sembra un po’ sinistra e attira la curiosità degli altri poliziotti vicini che, non avendo seguito lo scambio di battute, si guardano incuriositi per un po’, quindi ritornano al loro lavoro.

Poco dopo i due si allontanano e l’ispettore, prima di entrare nella sua automobile, si domanda quante informazioni utili si potevano trovare su Internet.

“Quante ne sono?” chiede invece a Bruni togliendosi la sua mascherina e gettandola sul cruscotto.

“Otto” risponde l’altro togliendosi anche lui la mascherina.

“Mi tenga informato” dice Franchi mettendosi al volante, “Torno in Centrale per un altro paio di ore, poi vado a casa. Se non ci ritroviamo lì, le auguro una buona serata Bruni”.

“A domani mattina, ispettore, credo che faremo tardi stasera”.

“A domani, allora”.

L’automobile indietreggia piano, quindi esce dal perimetro di sicurezza. È una bella serata di primavera e il cielo risplende di stelle pieni e grandi. Bruni alza la testa e si lascia carezzare da una leggera brezza che gli riempie i polmoni d’aria. Ci voleva un po’ d’aria buona, pensa, dopo tutto quel fumo acre che gli aveva pizzicato la gola.

“Otto statuette del Budda e tutte di materiali diversi” borbotta, “Non dovrebbe essere difficile trovare qualcosa”.

 

 

 

Il mattino seguente, Franchi arriva presto in ufficio. Lo fa da più di venti anni. È un’abitudine consolidata del suo essere poliziotto, ma da quando lavora con Bruni, ha di che rammaricarsi. Arrivare prima era un modo per cominciare bene, dal suo punto di vista. Compra il giornale all’edicola sotto casa, quindi prende l’auto parcheggiata a pochi passi e si avvia alla Centrale seguendo un notiziario radiofonico, sempre, da più di venti anni. In ufficio ha il suo personal computer, ma lui non vuole avere a che farci troppo. Gli piace ancora l’odore della carta stampata e per questo, la mattina quando arriva, lascia la porta aperta in modo che gli altri poliziotti, quando entrano a prendere servizio, lo vedano e si limitano a salutarlo per fargli leggere il suo giornale.

Ormai verso la pensione, Franchi conserva ancora un aspetto fisico invidiabile. Grosso sì, ma non tanto da renderlo goffo nei movimenti. Al contrario, incute rispetto e considerazione tanto che alla Centrale tutti gli hanno dato lo stesso soprannome. C’è nella sua faccia un po’ del fascino di un vecchio cowboy e se qualcuno pensa di prenderlo in giro definendolo uno John Wayne di borgata, lui, al contrario, non se la prende a male. Male invece la prendeva lui tutte le volte che Bruni lo anticipava nei tempi e nei modi, cosa che persisteva da quando avevano iniziato a lavorare insieme.

Pignolo, dedito alla causa, tutto andava bene quando si parlava del suo braccio destro, ma perché gli rovinava la sua mezz’ora mattutina? L’agente non c’è, perché come gli altri arriva in Centrale verso le otto, però riesce a guastargli la giornata con il suo immancabile senso del dovere.

“Al diavolo” mormora varcando la soglia del suo ufficio e fissando la cartellina appoggiata sulla scrivania.

Scarno, essenziale. Il suo ufficio sarebbe stato solo uno spazio quadrato con una scrivania e un divanetto se non fossero stati per tutti i calendari ufficiali della Polizia di Stato appesi ai muri. C’è anche un piccolo schedario in un angolo, il computer sulla scrivania e la finestra sul cortile interno. Non proprio una bella vista.

“Il mio spazio violato” borbotta mettendosi a sedere, “Avrà fatto le ore piccole per prepararlo, diamogli almeno uno sguardo” aggiunge mentre apre la cartellina.

Il rapporto di Bruni è preciso e stilato con una dovizia di particolari che lo fanno sentire subito in colpa per il modo in cui ha reagito alla sua vista. Eppure voleva avere ragione della sua istintiva collera a tutti i costi, perché quella mattina si era preparato alla lettura del giornale con un caffè preso alla macchinetta del corridoio. E lui adorava quel caffè.

“Al diavolo” ripete sconfitto e continua a visionare il rapporto della sera prima.

Gran parte è dedicata ai manufatti rinvenuti.

“C’è una leggenda che riguarda questi manufatti” legge in alcune note al margine, “Vale la pena approfondire. Pare che appartengano a un gruppo di dodici e sono originari della Cina dove sono stati fabbricati. Ci sono testimonianze in repertori bibliografici che parlano di un mercante cinese che li commissiona a un artigiano.

La leggenda vuole che chi li possiede, riceve l’immortalità tramite un rito di sangue. È una incongruenza se si pensa alla filosofia buddista o a quella orientale in generale, dove riti di questo tipo non se trovano”.

L’ispettore beve un sorso del caffè, quindi riporta la sua attenzione al rapporto.

Le statuette erano state divise dopo la morte del mercante che evidentemente non aveva ricevuto l’agognata immortalità. Le fonti citano che lo stesso artigiano che le avrebbe fabbricate le abbia rivendute perché se ne perdesse traccia. Divise e sparse per il mondo, non avrebbero arrecato nessun danno. Le note al margine si concludono con l’ipotesi che il proprietario della casa potesse essere a conoscenza della leggenda e stesse provando ad attuarla.

“Un ricco idiota” commenta Franchi, “Può essere”.

Nel rapporto ci sono anche notizie. Tra i resti della casa, infatti, erano stati rinvenuti dalla Scientifica diversi reperti di arredo pregiati e l’incendio stesso, di origine dolosa, faceva presupporre che non c’era un furto all’origine del disastro. Il fatto che le statuette rinvenute fossero solo otto poteva anche significare che non tutte e dodici erano in possesso del misterioso proprietario, o che comunque, fossero state sottratte prima dell’incendio.

“Ma la sparatoria?” si chiede, “Si sono ammazzati tra di loro, dunque?” fa rigirandosi il rapporto tra le mani.

“Incendio doloso” continua sempre ad alta voce, “Una casa piena di roba pregiata che non viene toccata. Morti ammazzati. E se le statuette non centrano nulla?”.

Finisce il caffè e chiude la cartellina.

“Che senso avrebbe?” si domanda ancora, “Se ti interessano quelle statuette le rubi tutte, no? O mentre lo stai facendo qualcuno ti mette i bastoni tra le ruote?”.

Si alza dubbioso dalla sua scrivania e guarda il giornale comprato quella mattina ancora ripiegato sul divanetto dove lo aveva appoggiato. Ha ancora il suo odore fresco di stampa, lo sente, e maledice il momento in cui ha aperto la cartellina con il rapporto. Era tipico di Bruni coinvolgerti e farti entrare nelle sue riflessioni Colombiane.

Sorridendo, l’ispettore esce dal suo ufficio e saluta i primi poliziotti che prendono servizio.

 

 

Una settimana dopo, da un quotidiano nazionale, prima pagina:

Clamoroso furto ieri notte nel magazzino di Stato in Via Volta dove la Polizia deposita parte della refurtiva e reperti delle scene dei crimini su cui indaga.
Un gruppo di sei uomini, ripresi dalle telecamere di servizio dell’edificio, è entrato con facilità nell’area riservata e ha rubato reperti della Scientifica rinvenuti sul luogo dell’incendio di qualche settimana fa, sulla Collina dei Pensieri. Nella villa, il cui proprietario è risultato uno sconosciuto prestanome, erano stati ritrovati intatte alcune riproduzioni del Budda fabbricati in vari materiali. Il valore della refurtiva è tutt’ora ignoto.
Pare che i malviventi, travestiti da poliziotti ed esibendo falsi documenti, siano riusciti a entrare nel deposito con uno stratagemma uscendone poco dopo senza che nessuno s’insospettisse.
Solo stamattina è stato scoperto il furto.
Sulle indagini c’è uno stretto riserbo, anche se le prime ipotesi vagliate parlano di fuga di notizie e complicità all’interno stesso della Polizia che smentisce qualsiasi coinvolgimento e promette di far luce quanto prima sull’accaduto.

 

Raffaele Scotti

 

4 Commenti

  1. Mi piace molto la trama della storia, la trovo intrigante! Il fatto che Bruni sia inesperto e abbastanza contrario per quanto riguarda la tecnologia mi ha fatto sorridere. Continuo la lettura 🙂

    • Grazie. Bruni è “vagamente” inspirato al più famoso tenente Colombo della serie tv per cui la sua “incompetenza” tecnologica deriva da un approccio “classico” all’investigazione. Mi auguro che troverai ulteriori elementi interessanti nelle successive letture…:)…

  2. Un inizio molto interessante, ammetto che questo non è un genere che amo, ma il tuo modo di scrivere mi piace molto e sei riuscito a trasmettermi molta curiosità. Complimenti!! 🙂

    • Grazie anche a te. Mi sono cimentato in diverse tipologie di genere, ma questo, e questa storia, mi hanno divertito particolarmente. Spero continuerai nella lettura…;)…


Aggiungi un Commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Commento *

Nome
Email